Renzi-Merkel, lento disgelo
La cancelliera: ora un patto sulla Turchia. Il premier: prima le risposte dalla Ue
Roma e Berlino si avvicinano ma restano alcune divergenze. La Germania insiste perché venga siglato un patto sulla Turchia. Dal summit di Berlino è emersa anche la promessa di Merkel di coinvolgere Renzi nel direttorio franco-tedesco, alla vigilia dei vertici Ue. Roma garantisce un sostegno sui profughi.
La prima tappa del tour diplomatico serve per dirsi che qualche passo in avanti è stato compiuto ma che l’opzione Brexit resta sul tavolo. Non ci sono barricate. E già questa è una buona notizia. «La strada resta lunga, abbiamo fatto progressi ma non sono sufficienti», commenta il premier britannico, forse per tenere a freno il fronte interno euroscettico che è pronto a sparare bordate. David Cameron conta di giocarsi in due settimane le carte per un compromesso che scongiuri l’addio di Londra all’Europa. «Nell’interesse del Regno Unito» vuole trovare un punto di equilibrio da ratificare nel Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio, così da potere svolgere il referendum entro giugno. Se i tempi dovessero slittare, è il suo ragionamento,
un possibile e consistente flusso estivo di immigrati rischierebbe di condizionare negativamente il voto. Il percorso è in salita ma non proibitivo. Cameron è a Bruxelles per incontrare Jean-Claude Juncker, presidente della commissione Ue, e per confrontarsi sulla questione più delicata. Si tratta del congelamento quadriennale degli interventi sociali a favore dei migranti. L’Europa, con Angela Merkel in testa, gli ha già risposto che è una proposta irricevibile in quanto viola il principio cardine della libera circolazione delle persone e del lavoro. Il punto positivo è che tanto Londra quanto i partner non si sono irrigiditi in trincea. L’incontro di Bruxelles conferma che la negoziazione è in corso e prosegue. Al vaglio politico e tecnico ci sono due riforme. La prima è stata illustrata da Juncker: un meccanismo di «emergency brake», un freno d’emergenza che attiverebbe il congelamento dei sussidi, nel caso di «tensione» sui conti del welfare provocata da forti flussi d’ingresso, procedura che sarebbe valida non solo per il Regno Unito ma per tutti i Paesi membri dell’Unione e che dovrebbe essere posta al vaglio della Commissione o del Consiglio europeo e ricevere il consenso della maggioranza. Cameron non ha sbattuto la porta in faccia, ma così come formulata l’idea è giudicata debole e macchinosa da Londra. La seconda proposta, che Cameron ha affrontato nei giorni scorsi al telefono con Angela Merkel e che si aggiungerebbe alla prima, è una soglia di reddito oltre la quale scatterebbe il diritto al welfare per i lavoratori europei immigrati. Il problema è che tale soglia sarebbe per Downing Street troppo bassa (7 mila sterline). Solo 20 su 100 allo stato attuale sarebbero esclusi dai benefici che il leader britannico chiede di congelare. Troppo pochi. Cameron è incalzato e frenato dagli euroscettici (Nigel Farange gli dà del «patetico» e scomoda Oliver Twist quando chiede: signore possiamo avere qualcosa in più?). Però non blocca la negoziazione. Domani sera cenerà a Downing Street col presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. E successivamente ha in programma di sentire o vedere Angela Merkel. Dieci giorni importanti per allontanare il fantasma Brexit.