Corriere della Sera

E le lobby locali vincono ancora

- Di Federico Fubini

Con il decreto di riforma della Pubblica amministra­zione doveva finire l’epoca dei concession­ari monopolist­i. Ma, a quanto pare, qualcosa non ha funzionato: il testo è stato amputato dei suoi passaggi fondamenta­li.

Per una strana abitudine italiana, è possibile che nove giorni dopo l’approvazio­ne di un decreto del Consiglio dei ministri il suo testo sia ancora sconosciut­o al pubblico. Questi ritardi del resto sono così frequenti che ormai vengono considerat­i perfettame­nte normali: tutti sanno che una certa riforma è avvenuta, pochissimi privilegia­ti ne conoscono il contenuto, e nessuno se ne sorprende. È il caso, fra gli altri, del cosiddetto «Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale».

Quello è uno degli undici decreti attuativi approvati il 21 gennaio scorso, dopo la legge con cui il parlamento aveva delegato il governo a modernizza­re la pubblica amministra­zione. Almeno sulla carta, doveva essere uno dei passaggi più innovativi dell’intera riforma. C’era un obiettivo dichiarato: aprire alla concorrenz­a i mille piccoli (o non tanto piccoli) regimi locali di monopolio nella fornitura A nove giorni dal sì del governo i decreti non sono stati trasmessi in Parlamento

in milioni di euro alla concorrenz­a se non poteva dimostrare che avere due o più aziende di gestione dei rifiuti, erogazione dell’acqua o del gas avrebbe provocato dei problemi per i cittadini.

Niente del genere succederà, malgrado tutto. Su questo punto la legge-delega sarebbe stata disattesa in pieno dal governo (che peraltro ha il diritto costituzio­nale di agire così). Centinaia di società municipali­zzate possono festeggiar­e in silenzio lo scampato pericolo di una riforma caduta sul suo ultimo metro. Resta solo da chiedersi come sia stato possibile. Di certo le pressioni delle aziende monopolist­e, legittime, non saranno mancate; e non è difficile immaginare che si sia fatta sentire anche Utilitalia, la loro associazio­ne guidata da rappresent­anti della milanese A2A, della bolognese Herambient­e o della romana Acea. In vista delle amministra­tive di giugno in molte città, la loro voce non dev’essere rimasta senza eco nelle stanze di Palazzo Chigi.

Il ritardo

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