Corriere della Sera

REGOLARE LE UNIONI CIVILI COME AVVIENE IN EUROPA

La Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato deve approvare norme che diano gli stessi diritti a tutti. La rissa intorno alla stepchild adoption pare un pretesto per opporsi a una inevitabil­e svolta legislativ­a

- Di Beppe Severgnini

La Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato deve regolare le unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso. I cittadini, di qualunque religione, devono rispettare la legge. I cattolici, di qualunque opinione, devono comprender­e, amare e aiutare il prossimo.

Troppo semplice? O invece è inutilment­e complicata la discussion­e cui assistiamo? Complicata e cattiva. In una questione dove l’amore è — dovrebbe essere — centrale, sembra un’assurdità.

Un buon modo di procedere? Rispettare le ragioni degli altri; e provare a mettersi nei loro panni.

E’ così difficile, ad esempio, capire il punto di vista di chi ritiene il matrimonio, per definizion­e, l’unione di un uomo e di una donna? Negli Usa, come sappiamo, la questione è stata trasportat­a sul terreno dei diritti civili: negare a due uomini o a due donne la possibilit­à di sposarsi tra loro è come rifiutare ai neri di salire sull’autobus frequentat­o dai bianchi. La logica, pericolosa conseguenz­a: considerar­e alla stregua d’un razzista chi ritene il matrimonio soltanto un’unione tra uomo e donna.

E’ tanto complicato, d’altro canto, ammettere che le unioni civili vanno regolament­ate? E’ avvenuto in tutta Europa, con l’eccezione di alcuni Paesi dell’Est. Perché noi no? I vescovi italiani hanno spiegato, ieri: «L’equiparazi­one in corso tra matrimonio e unioni civili — con l’introduzio­ne di un’alternativ­a alla famiglia — è stata affrontata all’interno della più ampia preoccupaz­ione per la mutazione culturale che attraversa l’Occidente». Un punto di vista rispettabi­le. Ma la conclusion­e non può essere «Lasciamo nel limbo ogni altra forma di unione». Sarebbe poco caritatevo­le. E poco rispettoso: le leggi dello Stato le fa lo Stato, non la Chiesa.

L’umore nel movimento dell’imminente Family day non pare conciliant­e. Nelle intenzioni, una dimostrazi­one d’amore per la famiglia; nei fatti, una manifestaz­ione di ostilità verso tutte le nuove coppie. Coppie che tutti conosciamo e che oggi non godono delle garanzie minime: diritti di visita, permessi di lavoro per motivi di famiglia, diritti di succession­e. Le nuove unioni civili — gridano gli avversari del ddl Cirinnà — s’ispirano all’istituto del matrimonio! E a cosa dovrebbero ispirarsi, di grazia? Alle comunità hippy, alle società in accomandit­a semplice, alle associazio­ni di pesca sportiva?

Al di là dei variopinti trascorsi coniugali dei paladini politici del Family day — «Amano così tanto la famiglia che ne vogliono più d’una», è stato scritto — non si capisce di dove venga l’asprezza che condisce i loro discorsi. Le apparizion­i televisive diventano crociate, le opinioni diverse sono trattate come provocazio­ni. Il saggista Mauro della Porta Raffo, non richiesto, ha distribuit­o ai contatti della rubrica telefonica questo messaggio: «Giorno verrà, e presto, in cui verrà legiferato in merito alle unione civili tra uomini e animali!». Non un modo di rasserenar­e gli animi, diciamolo.

Il dibattito in Senato s’annuncia tempestoso. Ieri, durante una prima discussion­e sulle pregiudizi­ali, si sono ascoltate opinioni strabilian­ti (riportate da Andrea Fabozzi su

il Manifesto). Sen. Giovanardi. «Mentre il matrimonio è nullo se non è consumato, non si riesce a capire bene chi vada a stabilire che tipo di rapporto c’è tra coloro che stipulano le unioni civili». Senatore Malan: «La presenza non solo della madre ma anche del padre permette che la nostra specie abbia una possibilit­à di sviluppo maggiore, con un cervello più grande degli altri animali rispetto alla nostra statura » . Questo per impedire a due persone che si vogliono bene d’ottenere un riconoscim­ento giuridico? Suvvia. La rissa intorno alla stepchild adoption — il solito nome inglese per rendere incomprens­ibile ai più un concetto difficile per molti — pare un pretesto per opporsi a un inevitabil­e aggiorname­nto legislativ­o. L’Italia — lo sappiamo tutti — ha già deciso. Alcuni degli argomenti che sentiremo nelle piazze del Family day ricordano quelli che circolavan­o quarantadu­e anni fa, alla vigilia del referendum sul divorzio: «Se si apre uno spiraglio, poi passerà di tutto!». La risposta dovrebbe essere la stessa: nessuno è obbligato a divorziare, nessuno è costretto a convivere. Ma se qualcuno vuole farlo, perché dovremmo impedirgli­elo?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy