MILANO E L’ORTOMERCATO EREDITÀ (MANCATA) DI EXPO
Dalla nebbia del dopo Expo spunta una lettera che annulla impegni e promesse sul rilancio della filiera agroalimentare, a Milano e in Italia. Riassume speranza e delusione per il mancato via libera al nuovo Ortomercato, un gigante decaduto nel settore dell’ortofrutta, scivolato dal primo al quattordicesimo posto nelle classifiche europee con un perdita del 40 per cento dei volumi trattati negli ultimi due anni. La speranza: quella di farlo diventare un hub del settore, creando intorno a frutta, verdura, mercato del pesce e dei fiori un nuovo made in Italy, come nella moda, in grado di competere con i mercati rinnovati di Parigi e Rotterdam. La delusione: quella di un ennesimo passo indietro dopo vent’anni di attese e 6 piani industriali inattuati, che lasciano sull’Ortomercato ombre e antichi pregiudizi, legati agli intrecci malavitosi e all’illegalità.
La lettera dell’amministratore unico, Nicolò Dubini, è indirizzata al sindaco Giuliano Pisapia e al governo. Contiene le dimissioni dall’incarico e un’implicita richiesta di commissariamento, in quanto viene disatteso l’impegno di rendere operativa la nuova struttura entro il 2016, come aveva deliberato il consiglio comunale. Dietro gli aspetti formali restano le domande di fondo: che cosa ha significato Expo per il Paese e che risposte riesce a dare Milano in termini di competitività. Se Expo è rilancio del sistema Italia, sviluppo delle tipicità, recupero dei prodotti di nicchia, qualità, sicurezza alimentare, tracciabilità, biodiversità, ricerca e nuovi posti di lavoro, l’Ortomercato 2.0 dovrebbe essere l’erede designato per questa sperimentazione. Se ne sono dimenticati tutti. Milano infine: se vuole cavalcare l’onda positiva che l’attraversa non deve perdere colpi, rinunciando alle sfide. Vigilando, evitando sprechi e speculazioni, ma entrando nelle dinamiche di un mercato che non può restare fermo al passato.