Cattelan copia Jimmy Fallon? Il «furto» (a volte) è un gesto di umiltà
Partiamo dalle certezze. Alessandro Cattelan è il più bravo presentatore della nuova generazione: ha voce, ha presenza scenica, ha uno straordinario senso del tempo (meglio: ha introiettato il ritmo dei nostri tempi), ha la giusta ironia per non sentirsi un pallone gonfiato. Nelle dirette di «X Factor» ha mostrato una bravura fuori del comune. «E poi c’è Cattelan» è l’unico late show della nostra tv, un po’ poco per una generazione che ha avuto modo di crescere potendo vedere anche la tv americana (Sky Uno, giovedì, 23.35).
Cattelan si ispira troppo a Jimmy Fallon? Benissimo, ci sono mestieri in cui l’unico apprendistato è rappresentato dal «furto» e, a volte, copiare è solo un gesto di umiltà. Se l’appuntamento fosse quotidiano, se gli argomenti riguardassero anche l’attualità, «EPCC» potrebbe occupare una posizione di altro peso nello scenario tv italiano. Per ora, bisogna accontentarsi.
Il problema è che non si accontenti il padrone di casa. Un solo appuntamento settimanale fatalmente si porta dietro l’idea di perfezione, di compiacimento, di cazzeggio fra amici: bene lo sketch iniziale con Cesare Cremonini, ma la gag di Francesco Mandelli mascherato da Darth Vader di Star Wars era troppo lunga (e Fallon, sia pur ridendo, avrebbe chiesto a Mandelli la ragione degli ultimi insuccessi cinematografici) e l’incontro con il simpatico Max Pezzali era troppo costruito, troppo scritto. Max è bravissimo quando canta sull’aria di «Let It Be» il testo delle istruzioni anti-incendio di Sky o quando si esibisce in abiti hawaiani. Se invita i Mandelli, caro Cattelan, è difficile che poi venga Checco Zalone e, regola importante, non se ne lamenti mai in pubblico! «E poi c’è Cattelan» è un programma in cui è più importante il tono dei contenuti, e questo è un grande pregio, tutto da coltivare. Al programma lavorano anche Giampiero Solari, Piero Guerrera, Luca Monarca, Ugo Ripamonti, Matteo B. Bianchi, Federico Giunta.