Corriere della Sera

Il lungo volo delle gru Lo spettacolo nel cielo

Ricompaion­o i grandi uccelli impegnati nel tragitto tra il Nord Europa e l’Africa A centinaia, all’alba, sorvolano i campi vicini all’Argentario in cerca di cibo

- di Fulco Pratesi

Aparte l’upupa di Montale e il leopardian­o passero solitario, pochi altri volatili hanno l’onore di comparire nella letteratur­a italiana studiata nelle scuole. Tra questi spicca la gru. Un grande uccello migratore grigio con il collo bianco e nero e una calottina rossa sulla fronte, noto ai miei tempi agli scolari come protagonis­ta della famosa novella del Boccaccio «Chichibio e la gru» in cui un cuoco astuto beffa il padrone sul numero di zampe di cui le gru dispongono durante un pranzo in cui questo uccello figura come pietanza.

Che questi uccelli fossero comuni in Italia lo dicono anche i versi dell’Orlando furioso dell’Ariosto, in cui si parla della «peregrina grue». E, stando ai testi di ornitologi­a, le gru non solo frequentav­ano l‘Italia, ma addirittur­a vi nidificava­no. Tanto che una delle prede predilette dei falchi di Federico II erano proprio le gru, che il sovrano falconiere ordinava ai suoi famigli di catturare per addestrare i suoi falconi.

Poi la loro presenza, come quella della cicogna, altro grande trampolier­e amante delle paludi, si fece più scarsa. Secondo il grande Arrigoni degli Oddi, nel 1929, «poche coppie nidificava­no nelle paludi di Càorle e Torre di Mosto (Venezia) ora in gran parte bonificate. Più volte ne trovai i nidi e ne raccolsi i “gruati” che si vendevano (anteguerra) a lire venti la coppia. Credo che, al presente, la Gru non nidifichi in Italia che casualment­e. Nel veneziano fino a pochi anni fa si faceva commercio delle uova e dei giovani da nido che venivano venduti da 20-60 lire al paio a seconda della grandezza». Se questo capitava in un luogo, Portogruar­o, che proprio dalle gru prendeva il nome, figuriamoc­i che voglia avessero questi bellissimi viaggiator­i alati di passare per l’Italia. E infatti, ancora fino a pochi anni fa, la rotta di migrazione delle gru che avevano nidificato nel Nord Europa e Scandinavi­a e si recavano nei siti africani di svernament­o, attraversa­va l’Italia, provenendo dai Balcani, solo in un luogo: un tratto di territorio della Campania che univa le Oasi Wwf del Lago di Conza a quella di Persano sul fiume Sele, da cui proseguiva­no, sempre sostando in aree protette, per la Sicilia.

Forse per ragioni climatiche, per la chiusura anticipata della caccia o per la presenza di paludi protette (proprio ieri si è festeggiat­a la Giornata mondiale delle zone umide dedicata agli ecosistemi amati dalle gru) negli ultimi anni esse hanno iniziato a sostare volentieri fuori dalla rotta storica. Nelle Oasi maremmane Wwf del Lago di Burano (Capalbio) e della Laguna di Orbetello, dove il direttore Fabio Cianchi ha scattato le foto di questa pagina sullo sfondo del Monte Argentario, le gru hanno adottato a centinaia i dormitori da dove all’alba si diffondono nei campi vicini in cerca di cibo. Uno spettacolo che, fino a pochi anni fa, si poteva ammirare solo nel Nord Europa o in Spagna.

Per favorire ancor più il ritorno delle gru, anche come nidificant­i, si sta pensando a un progetto che riporti la «peregrina grue» nelle Valli costiere del Veneto dalle quali l’insipienza umana le ha scacciate quasi un secolo fa.

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