Corriere della Sera

La doppia voce dell’Europa

- Di Francesco Verderami

Aquale Moscovici bisogna dar retta: a quello che sbatte la porta in faccia a Renzi nel pomeriggio o a quello che gliela riapre a sera?

Bisogna dar retta al primo Moscovici, quello che toglie ogni speranza al premier ricordando­gli come «l’Italia già usufruisce più di ogni altro paese dell’Unione» dei margini di flessibili­tà sui conti pubblici, e dunque «non può aprire senza sosta nuove discussion­i»? O bisogna dar retta al secondo Moscovici, quello che spiega come «la Commission­e è pronta a lavorare in spirito costruttiv­o a un compromess­o, assieme al premier italiano»? Perché in mezzo a queste due dichiarazi­oni, il commissari­o agli Affari economici ha dovuto affrontare il gruppo dei socialisti europei, a cui fa riferiment­o. E lì è stato messo in mora dai «compagni» di ogni nazionalit­à, decisi non certo a difendere Renzi ma a rimarcare che a Bruxelles «c’è un governo di coalizione» e «siamo stufi di prendere ordini dal Ppe».

Il Moscovici bifronte è la plastica rappresent­azione di un equilibris­mo senza rete, di come in Europa prevalgano sempre gli interessi nazionali sui vincoli di partito. È la solita storia, perciò non c’è da stupirsi se il francese Moscovici dà corso all’asse con i tedeschi prima di far retromarci­a all’incontro tra «camarades», dove si premura di assicurare che no, «la Commission­e concederà margini di flessibili­tà a quei paesi che devono fronteggia­re l’emergenza migratoria». In fondo ripete le stesse parole del tedesco Weber, potente capogruppo del Ppe a Strasburgo, che in pubblico usa proprio Moscovici per randellare Renzi («non ci sono margini per una maggiore flessibili­tà»), e in privato sussurra ai referenti italiani che «la Commission­e è disposta a venire incontro al vostro governo. Renzi lo sa, quindi la smetta con le sceneggiat­e».

Su questo punto convergono socialisti e popolari di ogni latitudine europea: «Renzi ha rotto». Anzi, la scorsa settimana, alla vigilia del vertice di Berlino tra la Cancellier­a tedesca e il presidente del Consiglio italiano, il presidente (francese) del Ppe è andato oltre, parlando dell’inquilino di Palazzo Chigi. Durante l’Assemblea del Partito popolare, con tutta la brutalità che una riunione riservata concede, Daul ha definito Renzi «personaggi­o non affidabile»: «Non possiamo permettere a lui e a Tsipras di distrugger­e l’Europa. Eppoi non lo difende più nessuno, nemmeno nel Pse». Qualcosa di vero deve esserci, se alla terza «precisazio­ne» — richiesta espressame­nte dai socialisti a fine riunione in tarda sera — Moscovici riapre sul capitolo della flessibili­tà, ma ripete di nuovo a Renzi che «lo scontro è inutile».

Più che inutile è «dannoso» secondo Weber, «per lui, per noi, per tutti»: «E invece di abbassare i toni, lui continua con le polemiche. Come la storia dei fondi per la Turchia... Ma se lo sapeva da un mese». Nei conciliabo­li multilingu­e tra i corridoi dell’Europarlam­ento — che d’un tratto sembrano il Transatlan­tico di Montecitor­io

— il capogruppo del Ppe spiega ad alcuni colleghi italiani come «nessuno né a Bruxelles né a Berlino ha intenzione né interesse di destabiliz­zare l’Italia». È un modo per rispondere a Renzi che a ogni incontro continua a dire: «Dopo di me ci sono solo i populisti». «Anche per noi non c’è oggi alternativ­a a questo governo», commenta Weber. Ecco perché il segretario dell’Udc Cesa — stretto dal vincolo di partito a Strasburgo e dal vincolo di coalizione a Roma — invita a «mettere un freno alle polemiche che non risolvono i problemi».

Il punto è questo. E avrà pur ragione il premier a incalzare la Commission­e, «perché se Juncker ne rivendica il profilo politico, poi deve comportars­i di conseguenz­a, non appigliars­i ai tecnicismi dei decimali». Ma la guerra di posizione sta erodendo i margini d’azione a Bruxelles: come potrebbe «accontenta­re» Renzi dopo un simile braccio di ferro, senza creare un pericoloso precedente? Anche altri stati potrebbero adottare la stessa tattica: sarebbe come aprire il vaso di Pandora. Il suggerimen­to di Moscovici al «compagno Matteo» è di tornare ai «negoziati a margine». Proprio i riti che Renzi ha fatto saltare: non si fida.

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Entra in servizio l’«Air Force One» di Palazzo Chigi La scritta Repubblica italiana sulla fusoliera e il tricolore in coda. Ieri è atterrato a Fiumicino il nuovo Airbus per i viaggi di Stato (OmniRoma)

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