Corriere della Sera

Al Circo Massimo qualcosa di nuovo

Centrodest­ra Il Family day ha dato voce a una larga comunità che si contrappon­e alla sinistra di oggi e chiede un’alternativ­a al gruppo dirigente di riferiment­o Sarebbe utile sia al governo sia all’opposizion­e

- Di Aldo Cazzullo

Al Circo Massimo si è rivisto un protagonis­ta da tempo assente: il centrodest­ra.

el luogo che evocava lo scudetto della Roma e il corteo di Cofferati si è radunata una folla imponente. Era lì per una battaglia trasversal­e contro una legge che divide la stessa maggioranz­a, non in nome di un partito o di uno schieramen­to; ma era comunque espression­e di un’area contrappos­ta alla sinistra oggi al governo. Un’area che nel Palazzo non tocca palla da mesi; mentre nella società, all’evidenza, è viva e vegeta. Certo, è noto come il centrodest­ra sia storicamen­te maggiorita­rio e conservi ampie riserve di voti. Ma non era affatto scontato che mostrasse una simile capacità di mobilitazi­one. Ora si tratta di decidere che fare di tanta forza.

La causa che l’ha condotta a Roma è discutibil­e, e alla lunga votata alla sconfitta. La legge sulle unioni civili è attesa da un percorso accidentat­o in Parlamento, subirà di sicuro agguati e attacchi, ma alla fine si farà; ed è bene che sia così, visto il ritardo accumulato dal nostro Paese sul resto d’Europa. Questo non toglie che la piazza del Family day rappresent­i un fatto politicame­nte significat­ivo. È entrato, o meglio è tornato in campo, un mondo che non si riconosce né nell’Italia di Renzi, né in quella di Grillo. Ed è destinato a esprimersi ancora, per altri obiettivi e con nuovi leader.

Colpiva sabato scorso la distanza tra il personale politico visto sotto il palco, in buona parte logoro o improbabil­e, e il dinamismo di un insediamen­to sociale e culturale che non sembra destinato a refluire nella passività e nell’attesa di tempi migliori, come si temeva o si sperava. È evidente che, al di là dei temi specifici della manifestaz­ione, quell’insediamen­to esprime la domanda forte di un’alternativ­a, di una stagione diversa, durante la quale anche dentro i partiti già esistenti emergerann­o nuove personalit­à, nuovi punti di incontro, nuovi temi di mobilitazi­one.

Il referendum contro la riforma istituzion­ale può essere uno di questi? C’è da dubitarne. Intruppars­i con i grillini e con i dissidenti del Pd, con i «professoro­ni» e con l’estrema sinistra, in nome della difesa dell’esistente — a cominciare dei 315 senatori —, non è il modo migliore per infliggere la spallata a Renzi, ma per consentirg­li di presentars­i come il nuovo contro il vecchio, il riformator­e contro gli immobilist­i. Senza considerar­e la difficoltà per Forza Italia di contrastar­e norme per il superament­o del bicamerali­smo perfetto che in un primo tempo aveva contribuit­o ad approvare. Meglio semmai prepararsi per il momento opportuno: le elezioni politiche.

L’idea che si possa scegliere un leader credibile all’ultimo momento è sbagliata. Sia Berlusconi sia Salvini la perseguono nell’illusione di individuar­e un candidato premier il cui nome assomigli al proprio, superando gli inconvenie­nti dovuti alla legge e all’età per il fondatore di Forza Italia, e all’opportunit­à politica per il capo della Lega, troppo estremista nel linguaggio e nei gesti. Per avere chance di vittoria, il candidato premier Amministra­tive Per le prossime comunali di Roma, Napoli e Milano si confermano i ritardi di un’area che non trova personalit­à all’altezza della sfida Unioni civili La mobilitazi­one è nata da una causa discutibil­e, e alla lunga votata alla sconfitta, ma l’evento ha un suo peso e una sua rilevanza del centrodest­ra non potrà essere né l’uno né l’altro; ma dovrà avere l’appoggio di entrambi. Un rebus da sciogliere per tempo, magari con le primarie; non da affidare alla trovata dell’ultima ora.

Da sempre il centrodest­ra, forte o molto forte nell’elettorato, fatica a selezionar­e la propria classe dirigente. Lo confermano le prossime Comunali. Gli aspiranti sono troppi, come a Roma, o troppo pochi, come a Milano, dove non si è ancora trovata una personalit­à disposta a correre. A Napoli ci si orienta sul candidato già sconfitto cinque anni fa da de Magistris, a Bologna spunta Sgarbi, bene-rifugio quando proprio non si sa dove sbattere la testa. Arrivare anche al voto nazionale senza un leader, o con un leader incapace di parlare ai moderati, significhe­rebbe consegnare il centro a Renzi. Viceversa, il centrodest­ra diventereb­be competitiv­o se indicasse fin da ora un gruppo di persone in grado di individuar­e le priorità, aggregare le energie, costruire una discussion­e e un consenso attorno a un programma fatto di pochi e precisi punti — una riforma fiscale seria, un nuovo rapporto con l’Europa —, e infine scegliere il candidato capace di incarnarlo. Costruire un’alternativ­a credibile è una necessità per il centrodest­ra, un bene per il Paese, e a ben vedere per lo stesso centrosini­stra; che senza avversari credibili finirebbe — come ha sempre fatto — per dividersi.

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