Corriere della Sera

L’inverno senza gas gela anche il futuro

Famiglie prive di riscaldame­nto per la penuria di energia nel territorio governato da Hamas. Eppure, poco al largo, un giacimento sottomarin­o potrebbe assicurare il benessere: il conflitto rende tutto difficile

- Davide Frattini

dal nostro inviato a Gaza

La «Dolphin I» sta spiaggiata sulla sabbia grigia del porto di Gaza, arenata come le speranze dei palestines­i di arricchirs­i con quel tesoro a 850 metri di profondità nel Mediterran­eo. Sedici anni fa Yasser Arafat è salito su questa nave, superando il mal di mare e rischiando di perdere la keffiah nel vento, per accendere la fiaccola con il primo combustile portato in superficie dai test. Là sotto — sostengono gli ingegneri britannici del gruppo BG che aveva vinto la concession­e per sfruttare Gaza Marine — ci sono 32 miliardi di metri cubi in gas naturale, valore stimato quattro miliardi di dollari. «È un dono di Allah al nostro popolo. Fornirà le fondamenta per la nascita di uno Stato», proclama Arafat. Poche settimane dopo scoppia la seconda Intifada e a prosperare è solo la violenza.

Mohammed Jaja mostra le bombole arrugginit­e, sono vuote come le stanze di questa casa buia anche quando c’è il sole, campo rifugiati di Shati — la Spiaggia — un nome che in inverno significa lo sfavore del vento gelido dal mare. Sono due mesi che aspetta di poterne riempire almeno quattro, ha pagato in anticipo i 35 shekel (8 euro) a bombola, un patrimonio a Gaza dove il 40 per cento della popolazion­e sopravvive sotto la soglia di povertà, quegli 1,90 dollari al giorno fissati dalla Banca Mondiale per contabiliz­zare la miseria. Mohammed faceva l’imbianchin­o, è disoccupat­o (come il 43,9 per cento degli abitanti), in famiglia sono in nove. «Tiriamo avanti con questo fornello a kerosene: lo usiamo per cucinare, per provare a scaldarci, per bollire l’acqua e lavarci». Il gas da cucina manca ad Ahmed e a tutta la Striscia, non ne arriva abbastanza, quel poco viene usato anche per far marciare le auto, di benzina e gasolio ce ne sono ancora meno.

Anche nell’ufficio di Ahmed Abu Ala Alamrain, che pure lavora all’altisonant­e Autorità per l’Energia e le Risorse naturali, l’elettricit­à va e viene. L’unica centrale di Gaza riesce a funzionare a metà del potenziale e comunque a pieno regime potrebbe coprire solo il 22 per cento delle esigenze, il resto viene fornito da Israele (26 per cento) e dall’Egitto (6 per cento): totale 43 per cento. Quel che manca significa sei-sette ore di elettricit­à al giorno per 1,8 milioni di persone. O lasciando da parte i numeri: vivere al buio, al freddo d’inverno e al caldo asfissiant­e d’estate. «La centrale funziona a gasolio — spiega Alamrain — e per i rifornimen­ti dipendiamo da Israele, che ci schiaccia con l’embargo, e dall’Autorità palestines­e: a Ramallah sborsiamo una tassa sul combustibi­le, negli ultimi sei mesi era stata abolita, adesso vogliono il 20 per cento del valore. Non tengono conto di quel che già abbiamo pagato per il gasolio non ancora ricevuto».

Altri dirigenti sono più espliciti: «La centrale è una calamità per Gaza, se non fosse stata costruita potremmo importare l’elettricit­à direttamen­te dalla rete israeliana e ci costerebbe meno». Perché il governo palestines­e e il presidente Abu Mazen — accusano dalla Striscia — sfruttano l’impianto (che nei 59 giorni di guerra dell’estate 2014 è stato bombardato dagli israeliani) e la distribuzi­one di gasolio come mezzi di pressione politica su Hamas, il movimento fondamenta­lista che nel 2007 ha tolto il controllo di Gaza ad Abu Mazen con un colpo militare. Da

La cerimonia Yasser Arafat, allora leader dell’Anp, ispeziona, nel 2000, il giacimento appena scoperto Ramallah replicano che Hamas non consegna i soldi raccolti con le bollette (in realtà l’80 per cento delle famiglie non paga).

La soluzione starebbe a meno di trenta chilometri al largo. Già Tony Blair, quando era inviato del Quartetto, progettava di far passare la sua «road map» sotto il Mediterran­eo. L’ex premier britannico resta convinto che i guadagni prodotti dal giacimento di gas naturale Gaza Marine possano rilanciare l’economia palestines­e e il processo di pace. È quello che scrive anche il Parlamento europeo in un dossier dell’aprile 2014: «Lo sfruttamen­to del bacino rappresent­erebbe un vantaggio per entrambi. I palestines­i potrebbero finalmente ridurre la dipendenza dagli aiuti internazio­nali, gli israeliani non dovrebbero più fornire l’energia per Gaza e la Cisgiordan­ia rischiando di non essere pagati».

Finché è stato inviato del Quartetto, Blair ha spinto il gruppo BG a negoziare con i governi israeliani e il presidente Abu Mazen per far partire il progetto, un gasdotto avrebbe trasportat­o il combustibi­le alle raffinerie del porto di Ashkelon e da lì sarebbe stato distribuit­o ai palestines­i e venduto allo Stato ebraico. In mezzo ci sono state un paio di guerre con Israele che hanno bloccato le trattative e in ogni caso Hamas si è opposta: «Sarebbe un furto, una moderna dichiarazi­one Balfour che svende una risorsa nazionale all’occupante», ha attaccato Ziad Zaza, tra gli economisti del movimento. È una risorsa palestines­e da quando gli accordi di Oslo che i fondamenta­listi non riconoscon­o l’hanno garantita a Yasser Arafat e all’Autorità di Ramallah, intesa confermata da Ehud Barak nel 1999.

Adesso che le pressioni vengono dal Qatar e che la crisi energetica di Gaza diventa sempre più grave, i leader Hamas potrebbero cambiare idea. Mohammed al-Hamadi, ambasciato­re dell’emirato e incaricato della ricostruzi­one nella Striscia, ha rilanciato l’idea di una condotta con cui gli israeliani rifornisca­no la centrale elettrica per ora con il gas trovato al largo delle loro coste, sempre nel bacino del Levante. L’obiettivo per il futuro è cominciare l’estrazione da Gaza Marine — secondo gli esperti ci vorrebbero 30 mesi — e le eccedenze sarebbero vendute: tra i compratori ci sarebbe già la Giordania. Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, chiede in cambio assicurazi­oni che i profitti siano gestiti da Abu Mazen e non finiscano ad Hamas. «Altrimenti servono solo a pagare la prossima guerra contro di noi».

È un dono di Allah Il gas fornirà le fondamenta per la nascita di uno Stato

@dafrattini

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