Corriere della Sera

Londra ottiene un pacchetto di riforme Ma l’uscita dalla Ue non è scongiurat­a

Freno ai benefit per gli immigrati. E i parlamenti potranno bloccare le direttive

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Fabio Cavalera © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Essere o non essere assieme? Questo è il dilemma al quale devono rispondere non solo i cittadini britannici ma anche gli altri 27 membri della Unione Europea nelle prossime due settimane».

Le parole del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, sintetizza­no lo stato dell’arte: l’accordo con Londra c’è, andrà emendato ma non stravolto, discusso nel prossimo vertice del 18 e 19 febbraio e votato. Se, al netto delle barricate dell’ultima ora, arriverà il via libera, allora David Cameron convocherà il referendum per il 23 giugno e si presenterà come capofila dei sì all’Europa.

Downing Street nella lettera del 10 novembre ai partner aveva chiesto riforme in quattro macro aree per confermare l’adesione all’Unione: «governance economica», welfare per gli immigrati, sovranità nazionale, competitiv­ità. Che cosa ha ottenuto e che cosa non ha ottenuto?

A casa porta il riconoscim­ento che Londra non è vincolata alla clausola di «una integrazio­ne politica» con l’Europa. E nero su bianco si vede accontenta­to su un altro punto delicato: le misure di emergenza «per salvaguard­are la stabilità finanziari­a dell’area euro non implichera­nno responsabi­lità di bilancio per gli Stati membri la cui moneta non è l’euro». Il che significa due cose: la certificaz­ione che l’Europa viaggia con motori e valute diverse, non soltanto con l’euro, e che «i soldi dei contribuen­ti britannici non possono essere resi disponibil­i per sorreggere l’eurozona».

Le criticità della bozza di accordo riguardano il welfare per gli immigrati e la sovranità dei parlamenti nazionali.

Sul primo punto viene riconosciu­to che la Gran Bretagna, per via dei flussi, ha i conti della spesa sociale sotto stress e ha diritto ad attivare il «freno di emergenza», il meccanismo di congelamen­to graduale dei benefici fino a un massimo di quattro anni. Ma quali contributi saranno disattivat­i, in che misura e quale sarà la platea colpita (sono 266 mila gli immigrati Ue che si affidano al welfare britannico) è ancora da definire. Resta il principio cardine dell’Europa: la libertà di movimento nell’Unione è sacra.

Sul secondo punto, Cameron incassa a metà: i parlamenti nazionali, che lo deciderann­o con la maggioranz­a del 55 per cento, avranno la possibilit­à di aprire una procedura di ridiscussi­one delle leggi europee e delle direttive della Commission­e. Una sorta di cartellino giallo. Ma Downing street chiedeva il rosso. Ossia il veto.

Pensare che la Brexit sia alle spalle è un azzardo perché, come Downing Street rimarca, «la parola spetta al popolo». Ma la lettera del presidente del Consiglio Europeo con i suoi allegati è qualcosa di concreto sui cui i tecnici dei due fronti si sono ritrovati e che consente al premier britannico di sbilanciar­si: «Se fossi fuori dall’Europa e mi chiedesser­o di aderirvi in consideraz­ione di questo documento non avrei problemi a entrare». Una frase che irrita il fronte euroscetti­co da cui gli piovono accuse di arrendevol­ezza. Nigel Farage, leader dello Ukip in testa: «E’ patetico«.

Poco importa. David Cameron ha cambiato marcia e del fuoco amico (la schiera dei conservato­ri che vogliono a tutti i costi la rottura) per ora si

Referendum David Cameron convocherà il referendum per il 23 giugno

disinteres­sa, limitandos­i a richiamare i suoi ministri anti Ue alla disciplina di governo. Angela Merkel gli ha assicurato una mano. «Il lavoro non è concluso». Ma la strada è quella giusta. Così lo scettico Cameron rischia di esser in trincea per il sì all’Europa.

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