Putin, la recessione e quelle privatizzazioni per sanare il bilancio (e far felici gli oligarchi)
Il sospetto si è riacceso non appena Vladimir Putin ha iniziato a parlare di grandi privatizzazioni per coprire i buchi di bilancio dovuti al crollo del prezzo del petrolio. Sta per iniziare una nuova stagione di «regali» agli amici degli amici, come quella che negli anni Novanta consentì a pochi oligarchi di impadronirsi con quattro soldi delle migliori aziende del Paese?
D’altra parte il presidente non ha molte vie di uscita se non vuole aumentare le tasse e tagliare i sussidi statali, cosa non proprio popolare a alla vigilia di importanti elezioni parlamentari.
Così ecco il nuovo piano che dovrebbe portare investitori privati dentro alcuni dei «gioielli» russi: compagnie petrolifere, spedizioni marittime, banche, diamanti. Il portavoce di Putin Peskov ha chiarito che potranno partecipare pure gli stranieri, anche se in questa fase non sono molti quelli desiderosi di investire in Russia, con le sanzioni, la crisi economica, e tutto il resto. Allora ecco prospettarsi l’ipotesi di un intervento massiccio dei soliti oligarchi, gli unici che dispongono dei mezzi finanziari necessari e che sono sensibili ai richiami del Cremlino. In più loro hanno abbastanza «connections» per vedere di spuntare prezzi particolari. Non saranno quelli di vent’anni fa, quando società dal valore di miliardi di dollari vennero vendute a milioni (per di più prestati dallo Stato). Ma chissà.
Putin ha chiarito ai suoi e a chi già si strofinava le mani che vendite a condizioni di favore sono del tutto escluse. Gli stranieri sono i benvenuti, ma solo con quote di minoranza in aziende non strategiche. Niente da fare, invece, per i russi estero-vestiti. Per capirci, tutti quelli che hanno portato i loro asset in altri Paesi, come Cipro e che ora investono in patria sotto le mentite spoglie di società straniere. Chi vorrà entrare nel nuovo grande affare dovrà riportare i quattrini in Russia e partecipare alle aste con società registrate ufficialmente in patria.
Secondo le notizie che sono uscite fino ad oggi, nella lista della spesa ci sarà il 19,5 per cento della Rosneft, l’azienda petrolifera statale controllata oggi dal fedelissimo di Putin Igor Sechin. Poi il 10,9% della banca Vtb e il 25% della Sberbank. Quindi un’altra compagnia petrolifera, la Bashneft, la Alrosa, colosso dei diamanti, la società di spedizioni marittime Sovkomflot e, forse, l’Aeroflot. All’ultimo sarebbe stata esclusa la società di comunicazioni Rostelecom, giudicata troppo strategica.
Questo non è certo il momento migliore per vendere, ma la situazione lascia poco spazio. Col petrolio ai prezzi attuali, il bilancio statale va verso un buco del 6 per cento. Ci saranno tagli del 10 per cento alle spese ministeriali, ma Putin non vuole andare oltre. Niente riduzione delle uscite sociali e, soprattutto, nessuna diminuzione delle spese militari.