NELLA REPUBBLICA DEL PALLONE LE SCUSE (NON SINCERE) SONO UNA REGOLA
Una Repubblica fondata sulle scuse. È la Repubblica del Pallone. Provate a cliccare su Google le due parole: «calcio» e «scuse». Sarri urla «frocio» a Mancini e poi si scusa per l’intemperanza. De Rossi urla «zingaro» a Mandzukic e poi si scusa. Mancini mostra il dito medio ai milanisti e il giorno dopo invia il tweet: «Mi scuso per un gesto di rabbia che non avrei dovuto fare!». Punto esclamativo! De Laurentiis si infuria con una giornalista e torna da lei per scusarsi. Matri, che reagisce male contro un guardialinee, si scusa con i tifosi per l’espulsione. E lasciamo stare gli scivoloni del presidente Tavecchio seguite, ovviamente, dalle doverose scuse. Ha scritto bene ieri Beppe Severgnini: «Mentre in tutto il mondo il gioco diventa più piacevole e spettacolare, in Italia sembra abbrutirsi, giorno dopo giorno». Omofobia, razzismo, machismo, volgarità e chi più ne ha più ne metta. Segue, il giorno dopo, la figura retorica delle scuse: facce mortificate, post compunti, contriti comunicati stampa. Cui segue un’altra figura retorica: l’accettazione delle scuse. Le espressioni più sguaiate e più triviali si risolvono in un alato e ipocrita balletto di dichiarazioni e controdichiarazioni pronunciate a culo di gallina o in punta di tweet. «Mi scuso... Mi scuso... Mi scuso...». Una Repubblica fondata sulle scuse. Intendiamoci, le scuse sono il minimo sindacale (di cui Salvini, dopo aver fatto il gesto dell’ombrello, non ha sentito il bisogno: «Non mi scuso, sono un tifoso»). Persino nel chiedere le scuse ai bambini che hanno commesso una marachella («E adesso chiedi scusa al cuginetto...»), si pretende un momento di riflessione e, perché no, di sana vergogna. Mentre la retorica delle scuse nella Repubblica del Pallone ha tutta l’aria di un automatismo telecomandato. Come dire: «Si sa la palla è rotonda, questo è il calcio...». Già, ma è calcio anche quello tirato nei denti?