Conti record per Ferrari ma il mercato resta freddo Marchionne: una reazione incomprensibile
«Sono risultati record, i migliori di sempre. La reazione dei mercati per me è incomprensibile». Già. Il consiglio Ferrari ha appena presentato i conti 2015. E ci sono, è vero, parecchi record. Eppure Sergio Marchionne non fa in tempo a passare dalla sala del board a quella della conference call e il titolo precipita. Sospensione, rientro, crollo. Tutto nel giro di un’ora, e con le perdite che si amplificano fino alla chiusura: —9,59%, dice il bollettino di Piazza Affari, a quota 32 euro. Né va meglio a Wall Street, dove negli stessi momenti il crollo supera anche al 14%.
Il punto è che sì, come sempre negli ultimi anni gli utili toccano nuovi primati. Forse un po’ meno del previsto, ma profitti industriali rettificati di 748 milioni (da 693) e un risultato netto di 290 milioni (da 265) sono margini eccellenti. E per capirlo è sufficiente guardare i ricavi: 2,854 miliardi di ricavi (da 2,762). Solo che accanto agli utili volano i debiti. Gli analisti non si aspettavano che, con il conto pagato allo scorporo da Fiat Chrysler Automobiles, arrivassero a sfiorare i due miliardi. Invece, dove un anno fa c’era un attivo di cassa di 566 milioni, oggi compare un indebitamento netto di 1,938 miliardi. In realtà è in linea con quanto indicato alla fine del terzo trimestre, e la cifra si riduce a 797 milioni se si considerano i soli debiti industriali. I mercati mettono però tutto insieme. E vendono.
Fanno un po’ da paracadute l’entità dei profitti e il dividendo (0,46 centesimi: numero che delude qualcuno, perché è nella parte bassa del range fissato da Marchionne per i prossimi anni, ma sarebbe stato come minimo unfair andare verso l’alto giusto con l’ultima cedola che sarà incassata da Fca). Dura poco. Gli operatori vorrebbero sentirsi preannunciare un 2016 da fuochi artificiali. Mentre il presidente Ferrari si attiene, di nuovo, alla linea conservativa: meglio lasciarsi margini per ritoccarle semmai al rialzo, le previsioni, e dunque per il 2016 le indicazioni danno i ricavi a 2,9 miliardi, l’utile industriale rettificato a 770 milioni, l’indebitamento netto sotto 1,950 miliardi (quindi sostanzialmente stabile). La parola d’ordine, per il primo anno della «Rossa» fuori dall’orbita Fca, è insomma «cautela». E alle Borse non piace.
È così che scivolano anche il nuovo e il vecchio azionista di riferimento. Exor (cui fa capo il 24%) perde il 4,5%. Fiat Chrysler il 2,66%, nonostante i buoni dati delle vendite di gennaio (al +19,7% italiano va aggiunto il +7% comunicato ieri per gli Usa, dove il gruppo è ormai a 70 mesi consecutivi di crescita). E nonostante, anche, l’annuncio di novità sul fronte in questo momento più «motoristicamente» caldo: la corsa alla riduzione delle emissioni inquinanti.
Dopo il Volkswagen gate, a base di software truccati, Fca ha avviato una serie di test interni. Li ha completati e conferma: i diesel di casa rispettano le normative europee e soprattutto, «se testati in base all’unico ciclo di prova fin qui prescritto», funzionano allo stesso modo «sia in laboratorio sia su strada». La precisazione «a parità di condizioni» mette l’accento, tuttavia, su un problema comune all’intero settore: quelle «condizioni» sono molto diverse nella guida reale, e con le differenti regole applicate dai vari Paesi il pericolo è un costosissimo (per i costruttori) caos populista. Perciò Fca, che alzerà i propri standard anti-inquinamento «aggiornando» tutti i suoi motori Euro 6 (gratuitamente, da aprile), richiama e «appoggia l’impegno Ue» per una normativa comune. Che rischia già di saltare: oggi, al primo voto decisivo al parlamento europeo.