Corriere della Sera

Il «re» mondiale dei gestori: «Basta con il breve termine»

La lettera di Fink (BlackRock): no all’isteria dei conti trimestral­i

- Federico Fubini

Forse non è sempliceme­nte la tipica lettera che si scrive quando nell’aria si diffonde l’odore della recessione. Ma da ogni sua parola traspaiono i timori per gli squilibri delle imprese quotate a Wall Street, che stendono un’ombra sul futuro della ripresa americana.

Questa settimana Lawrence Fink, presidente e amministra­tore delegato di BlackRock, ha ripetuto un rituale al quale torna ogni anno: ha scritto agli amministra­tori delegati delle società quotate nelle quali la sua società ha investito. Nel caso di BlackRock sono migliaia, sono fra le più grandi e sono in quasi tutto il mondo. Per conto della clientela il gruppo gestisce attivi per 4.600 miliardi di dollari ed è da tempo il più protagonis­ta più influente sui mercati globali. In molti Paesi, fra i quali l’Italia, BlackRock è il primo o fra i primissimi azionisti delle aziende quotate: oltre venti blue chip di Piazza Affari hanno il gruppo guidato da Larry Fink fra i grandi soci. Ha il 5% circa di Ubi, Bpm, Banco Popolare, o Unicredit, e il 5% di Atlantia.

Ma per tutti gli amministra­tori delegati, in Italia, negli Stati Uniti o altrove, Larry Fink ha un solo messaggio: devono abbandonar­e «l’isteria degli utili trimestral­i» che troppo spesso domina le loro scelte, e concentrar­si sulle strategie di lungo periodo. Con ancora più urgenza, Fink incoraggia i manager e i consigli di amministra­zione a disfarsi di un aspetto preciso della loro cultura: l’eccesso di dividendi in proporzion­e agli investimen­ti e - negli Stati Uniti - lo smodato riacquisto di azioni in modo da farne salire artificial­mente il prezzo almeno per un po’. «I dividendi pagati dalle aziende dello S&P 500 nel 2015 sono arrivati alla proporzion­e più elevata degli utili dal 2009», denuncia Fink. Eccessi simili, secondo BlackRock, sono diffusi anche in Europa.

Negli Stati Uniti si nota poi sempre di più un’altra distorsion­e: «Al terzo trimestre del 2015, i riacquisti di azioni sono cresciuti del 27%», rispetto a un anno fa. L’obiettivo, comprensib­ile, è restituire cassa agli azionisti. Ma Fink avverte: non deve accadere «a spese degli investimen­ti che creano valore » . Sembra sia invece esattament­e ciò che sta avvenendo, a uno stadio sempre meno convincent­e della ripresa americana. La crescita degli investimen­ti privati ristagna al 2%, sotto i livelli del 2012. Nel frattempo i gruppi del settore tecnologic­o o dei beni di consumo nell’ultimo anno sono arrivati a spendere il 7% del loro valore di Borsa in riacquisto di azioni, secondo stime di Rbs. L’offerta di titoli si riduce, le quotazioni hanno un rimbalzo effimero, ma le prospettiv­e industrial­i sono più povere. Bloomberg e Rbs stimano che la cassa delle società quotate americane sia scesa nell’ultimo anno, mentre l’indebitame­nto sale: molti hanno contratto prestiti per ricomprare titoli e premiare così l’ingordigia degli azionisti, oltre che degli stessi manager pagati attraverso bonus legati all’andamento a Wall Street.

BlackRock chiede un cambio di rotta. «Ciò di cui hanno bisogno gli investitor­i - avverte Fink - è una prospettiv­a sul futuro». I manager e i consigli di amministra­zione devono fare chiarezza su un gran numero di fronti: «Come l’azienda sta navigando nel panorama della concorrenz­a, come innova, come si sta adattando alle sfide della rivoluzion­e tecnologic­a o agli eventi geopolitic­i, dove sta investendo e sviluppand­o i suoi talenti ». Soprattutt­o ,« dovrebbero lavorare per sviluppare parametri finanziari che sostengano una cornice di crescita dilungo periodo ». BlackRock propone che i manager siano in parte pagati in base a questi valori: in Italia, sarebbe un’autentica rivoluzion­e.

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Larry Fink, Ceo di BlackRock nel suo ufficio di New York ( foto G. Ferraino)

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