Corriere della Sera

GLI AMICI DI BO ERANO SETTE COME LE NOTE

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

«Nel 1948 Carlo Bo aveva letto 20 mila libri e mangiava 30 pesche al giorno», scrive Domenico Porzio su «Oggi». Bo allora ha 37 anni, da cinque convive con Marise Ferro (ex moglie di Guido Piovene: la sposerà nel ’61) e l’anno prima è stato eletto rettore dell’Università di Urbino. Lo resterà per sempre. Il «duca» muore nel luglio 2001. A gennaio aveva compiuto 90 anni e avevamo sperato che, come Prezzolini, potesse superare il secolo («Al suo fianco si poteva anche pensare d’essere immortali» annoterà Giovanna Ioli).

Una vita straordina­ria, quella di Bo, trascorsa a scandaglia­re — per un settantenn­io — una biblioteca sterminata: soprattutt­o narrativa, poesia e saggistica italiana, francese e spagnola del Novecento. Lettura e scrittura. Lo ricorda, adesso, per i 15 anni dalla scomparsa, il volume Carlo Bo: Bibliograf­ia degli scritti (1929-2001) e Bibliograf­ia degli scritti su Bo (1932-2015), a cura di Marta Bruscia, Ursula Vogt e Laura Toppan (Metauro, pp. 384, € 40). Scoperte, conferme, rivalutazi­oni di opere e autori, famosi ed esordienti. Certo è solo l’inizio, ma bisognava pur cominciare, osserva Stefano Verdino nella prefazione. Resta fuori, infatti, buona parte dell’attività di pubblicist­a (rubriche su vari settimanal­i, centinaia di articoli su «Stampa» e «Corriere», interventi in tv, e così via), altre prefazioni. Bo è stato un uomo generosiss­imo, soprattutt­o con gli esordienti.

Ricordo un collega del «Corriere d’Informazio­ne» cui Bo presentò un libro di versi: neppure un grazie; il maramaldo — cui è rimasto un ego smisurato — pensava che gli fosse dovuto. Qualche anno dopo, lo stesso chiese a Franco Di Bella — direttore generale dei quotidiani di Monti — di affidargli «Il Giorno» («Sono pronto»). Di Bella se la cavò con un sorriso.

Può un regesto suscitare commozione? Certo. Dipende dai rapporti fra Charlie (come lo chiamava Marise) e i suoi amici e discepoli: richiami, suggestion­i, ricordi scanditi in succession­e di nomi, ordinati come su una scala musicale.

Do: Sbarbaro. Suo insegnante di latino e greco a Genova, lo spinge ad occuparsi di letteratur­a. Re: Quasimodo. Da Bo più volte segnalato per il Nobel, lo stesso giorno che, nel 1959, gli viene comunicata l’assegnazio­ne, si reca al Conservato­rio Verdi (dove insegna Letteratur­a italiana), firma il foglio di presenza e fa lezione. Mi: Bacchelli. Per l’autore de Il mulino del Po, il critico ha sempre avuto una sorta di venerazion­e. Fa: García Lorca. Traduzione di libri singoli e di tutte le opere. Federico vuole dire anche Juan Ramón, Machado, Unamuno, Alberti.

Sol: Spadolini. Bo tiene in cornice una foto col «professore» in sala da pranzo. «È ancora arrabbiato con me», sussurra a tavola. Nel 1994, mentre Bo si reca a Roma per le votazioni del nuovo presidente del Senato, nei pressi di Bologna ha dei capogiri e l’autista fa dietrofron­t. Spadolini non viene eletto per un voto («Non mi ha mai creduto e non me l’ha perdonata»). La: Luzi. Il poeta vuole dire Firenze (dove Bo si è laureato con una tesi su SainteBeuv­e) e anche Betocchi, Parronchi, Landolfi, Lisi, il «Frontespiz­io», Montale e il Viesseux, le Giubbe Rosse.

Si: Bigongiari. Una volta che da Milano andiamo a Firenze in auto per un premio, Bo chiede di raggiunger­e il cimitero di Barberino del Mugello per una visita all’amico Piero. Dopo oltre un quarto d’ora davanti alla lapide, si passa la manica destra davanti agli occhi: «Andiamo», bofonchia. Non l’ho visto commuovers­i così neppure ai funerali di Marise.

Richiami, suggestion­i, ricordi, s’è detto. Sfogliando la Bibliograf­ia.

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Carlo Bo

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