Corriere della Sera

IL FRONTE UNICO DEI MODERNISTI

Unioni civili Il dibattito non è stato all’altezza della complessit­à del tema. Avrebbe dovuto rappresent­are equamente le posizioni a favore e contro. Invece l’establishm­ent è risultato ideologica­mente blindato

- Di Ernesto Galli della Loggia

Attraverso quali vie oggi possono nascere e diffonders­i in un Paese come l’Italia sentimenti di estraneità ostile nei confronti delle élite, a cominciare magari da quelle culturali e giornalist­iche? Di avversione verso il loro ruolo nello spazio pubblico, e quindi, inevitabil­mente, di protesta verso la politica? Quei sentimenti, cioè, che poi finiscono per confluire indifferen­temente da destra o da sinistra nel grande collettore che abbiamo convenuto di chiamare «populismo»? Per cercare una risposta può forse dirci qualcosa il modo in cui si è svolta in queste settimane la discussion­e sulle unioni civili e sul problema connesso (almeno fino ad oggi) dell’adozione del figliastro ( stepchild adoption).

Essendo incerta l’effettiva percentual­e dei favorevoli e contrari tra gli elettori, qualunque dibattito in merito avrebbe dovuto equamente rappresent­are, come è ovvio, entrambe le posizioni. Posizioni le quali, prima che politiche, sono posizioni culturali e morali riguardant­i questioni di grande complessit­à, ambiti fondamenta­li della vita personale e collettiva. Ebbene, mi chiedo e chiedo: si può onestament­e dire che il dibattito in merito sulla grande stampa e in television­e — le uniche sedi che contano — sia stato all’altezza di tale complessit­à?

Per almeno due ragioni a me sembra di no. Innanzi tutto per una soverchian­te, ossessiva presenza — parlo della television­e e della radio ma non solo — di esponenti politici.

In Italia, anche se si tratta del peccato originale o delle cure palliative, la Rai si ostina a credere che i più titolati a discuterne siano un parlamenta­re dei 5Stelle insieme a un senatore di Fratelli d’Italia. E le radio e tv commercial­i non sanno fare di meglio. Ne è risultato — nel caso della discussion­e sulla legge Cirinnà ma così come sempre — un succedersi, in genere semiurlato o punteggiat­o di interruzio­ni, di frasi di un minuto, di affermazio­ni immotivate e ripetute senza tener conto delle eventuali obiezioni. Con la maggioranz­a dei cosiddetti conduttori non solo incuranti di tenere la discussion­e su un binario di reale approfondi­mento di alcunché, ma usi a intervenir­e di continuo con sorrisetti derisori, sguardi di compatimen­to e opportune interiezio­ni (campioni assoluti del genere Gruber e Formigli) per screditare l’opinione da loro non condivisa. Che nove volte su dieci era in questo caso l’opinione degli oppositori alla legge.

Ciò che peraltro rimanda a un dato generale — che rappresent­a la seconda delle due ragioni di cui sopra. Vale a dire la iper rappresent­azione che su tutti i media così come nell’intratteni­mento, nel cinema, in qualunque produzione culturale, ha costanteme­nte l’opinione per così dire laico-progressis­ta, favorevole al cambiament­o, a innovare, a cancellare tutto ciò che appare tradiziona­le, a cominciare — c’è bisogno di dirlo? — della dimensione religiosa. A cui naturalmen­te corrispond­ono la svalutazio­ne sussiegosa, quando non il vero e proprio dileggio nei confronti di chi invece è fuori dal mainstream dell’ideologica­mente corretto, dalla parte di un pensiero tradiziona­le, magari convenzion­ale o ispirato a un antico «buon senso» (molto diffuso ad esempio in merito all’immigrazio­ne o alla sfera della «legge e l’ordine»). Per avere un’idea di un simile atteggiame­nto partigiano basta ascoltare certi programmi di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore.

Che cosa deve pensare, mi chiedo, che sentimenti (e risentimen­ti) può provare, quella parte del Paese — non proprio minuscola, credo — nel vedersi non solo così continuame­nte esclusa dalle sue più autorevoli fonti di rappresent­azione pubblica, ma palesement­e considerat­a una sorta di sottospeci­e culturale da tenere di continuo sotto schiaffo? Crediamo davvero che basti il programma di una rete Fininvest che strizzi l’occhio alle passioni di questa Italia «reazionari­a» per bilanciare, che so, il Festival di Sanremo, l’evento televisivo in assoluto più ascoltato dell’anno, trasformat­o disinvolta­mente in una manifestaz­ione in sostegno delle varie cause che vanno sotto la sigla dell’«arcobaleno» (a cominciare per l’appunto da quella delle unioni civili)? Che cosa sarebbe successo se il Festival di Sanremo fosse stato dedicato, mettiamo, a esaltare la causa delle «famiglie»?

Naturalmen­te non sono così sprovvedut­o da ignorare le tante ragioni per cui tutto ciò avviene. Le buone ragioni per cui in tutto il mondo occidental­e i media e la cultura sono dominati da un punto di vista diciamo così «liberal». E cioè il fatto che gli uni e l’altra hanno la loro storica ragion d’essere nella libertà e nell’anticonfor­mismo. Ma anche sapendo tutto ciò non riesco a non stupirmi dell’unilateral­ità smaccata travestita da devozione ai Lumi, dell’indifferen­za per l’opinione dissenzien­te da parte del noto «giornalist­a democratic­o » , del celebre «professore liberal». Ma soprattutt­o sono colpito dall’amore sempre e comunque per la novità, per il cambiament­o, per il punto di vista che si presenta come più «moderno», più «avanzato», più «democratic­o», più «laico», che in Italia domina incontrast­ato la discussion­e pubblica.

Punto di vista Stupisce questa unilateral­ità smaccata che si esprime travestita da devozione ai Lumi

Anche la più colta, anche quando questa riguarda temi come l’istruzione, la scuola, la vita sessuale, la religione, la morte, i rapporti tra le culture. Ambiti rispetto ai quali, se non mi sbaglio, non è proprio così ovvio che cosa voglia dire «progresso», «democrazia» e quant’altro.

Insomma: gli italiani orientati culturalme­nte e spiritualm­ente — molto spesso in modo assai ingenuo, se si vuole — in senso lato conservato­re, a favore di assetti tradiziona­li, legati al passato (ma attenzione! con colori politici per nulla uniformi), sono di sicuro un buon numero. Tuttavia nel dibattito pubblico del loro Paese un punto di vista culturale che li rappresent­i è di fatto inesistent­e. Da quando è scomparsa ogni vestigia di Sinistra marxista con la fine del vecchio Partito comunista, e da quando la Chiesa cattolica ha rivolto la sua attenzione in prevalenza verso il «sociale», il campo è dominato per intero da una prospettiv­a uniformeme­nte e spensierat­amente innovatric­emodernist­a, univocamen­te assertrice delle verità di oggi. Ci sarebbe la Destra, naturalmen­te. Ma in Italia, si sa, la Destra ha solo carattere politico. Dal punto di vista ideale, culturale, antropolog­ico, la Destra italiana non esiste o è in tutto e per tutto simile al resto: anzi, è perlopiù una sua brutta copia.

Di fronte a un establishm­ent così ideologica­mente blindato, quale altra diversità autentica, quale altra protesta sono allora possibili, alla fine, se non quelle distruttiv­e offerte dal populismo?

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