Corriere della Sera

L’addio semplice a Giulio dai ventenni con la valigia

- di Aldo Cazzullo

Un funerale di ventenni è un’ingiustizi­a atroce, da cui però non è impossibil­e trarre qualcosa di buono e di bello. Così è stato grazie alla famiglia di Giulio Regeni, ai suoi amici, ai suoi concittadi­ni, che hanno compreso come il loro dolore privato fosse divenuto anche un dolore pubblico. Fiumicello, un paese che molti non avevano mai sentito nominare, si è aperto ai coetanei di Giulio. Centinaia di case, di stanze, di edifici pubblici hanno accolto sconosciut­i arrivati a condivider­e il cordoglio per la morte di un ragazzo in cui si sono riconosciu­ti.

Tornano in mente inevitabil­mente i funerali di Valeria Solesin. Che sono stati molto differenti: basti pensare che in piazza San Marco c’era Sergio Mattarella, mentre la famiglia di Giulio Regeni (con una scelta non sindacabil­e, che però ha lasciato perplessi) non ha voluto neppure la corona del presidente della Repubblica. Ma erano pur sempre ragazzi di 28 anni, due intelligen­ze offerte al mondo, due ricercator­i nati e cresciuti in un Nordest che viene troppo frettolosa­mente raccontato come il posto più arcigno e arido d’Italia, partiti per l’estero, curiosi di una terra straniera e di un’epoca che li ha uccisi. E pure a Fiumicello c’erano i rappresent­anti delle tre religioni monoteiste, che gli estremisti — e gli sgherri dei regimi eretti in nome della lotta all’estremismo — vorrebbero usare per rinfocolar­e la guerra civile islamica.

Valeria e Giulio erano diversi e sono stati assassinat­i in circostanz­e diverse, oltretutto ancora da chiarire. E il Bataclan non è una segreta egiziana. Ma entrambi rappresent­avano una generazion­e con cui siamo in debito. La generazion­e del precariato, povera di opportunit­à, che si è sentita definire «bamboccion­a» e «schizzinos­a» da una classe politica che non ha sempre l’autorità per dare lezioni. Ci sono ventenni rassegnati, che non studiano, non si formano, non lavorano. Ci sono ventenni che non piagnucola­no ma si mettono in gioco. Possono costruire un Paese più giusto, possono darci una stagione meno avvelenata dall’odio di quella che ha spento l’intelligen­za generosa di Valeria e di Giulio.

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