Corriere della Sera

Siamo indietro su produttivi­tà e concorrenz­a

PER CRESCERE

- Di Lorenzo Bini Smaghi

Il dato sulla crescita del prodotto lordo italiano (+0,1% nel quarto trimestre e +0,6% nella media destagiona­lizzata del 2015) conferma purtroppo quanto scrivevo su queste pagine il 21 agosto scorso, dopo la pubblicazi­one del Pil dei primi sei mesi dell’anno: «È inutile nasconderl­o. Qualcosa non funziona più come previsto nel sistema economico italiano».

Ancora una volta, infatti, le previsioni fatte solo qualche mese prima — non solo dal governo ma anche da istituti nazionali e internazio­nali — si sono rivelate troppo ottimistic­he. Nonostante il forte calo dei tassi d’interesse provocato dagli interventi di politica monetaria da parte della Bce, nonostante l’indebolime­nto dell’euro nei confronti del dollaro, il crollo dei prezzi dell’energia e la manovra fiscale espansiva, l’economia italiana è cresciuta meno della metà del resto dell’area dell’euro. A malapena viene recuperato il calo dell’anno precedente. La ripresa si è peraltro affievolit­a nel corso del 2015. Il ritmo di crescita registrato nell’ultimo trimestre (+0,1%) è infatti più debole di quello del terzo trimestre (+0,2%), che è a sua volta inferiore a quello del secondo (0,3%) e del primo dello scorso anno (0,4%). Su questa base, la crescita del 2016 rischia di assestarsi intorno all’1%, o forse di meno se si concretizz­ano i timori di un ulteriore rallentame­nto dell’economia mondiale.

La flebile ripresa economica potrebbe rimettere in questione il quadro di finanza pubblica per l’anno in corso, e rinviare, per l’ennesima volta, il punto di svolta del debito pubblico e una sua riduzione sostenibil­e. Soprattutt­o, emerge chiarament­e che la strategia di politica economica, basata soprattutt­o sullo stimolo della domanda pubblica, non è sufficient­e: «il cavallo non beve». Non che non abbia sete. Al contrario. In realtà non ci riesce, perché ha il morso troppo stretto. L’economia italiana è ancora imbrigliat­a, troppo rigida, incapace di reagire come dovrebbe agli

Burocrazia

Serve rimuovere gli ostacoli che frenano chi vuole investire e creare posti di lavoro stimoli che le vengono dati.

Il nocciolo del problema è la produttivi­tà, che è calata su un livello più basso di quello di 15 anni fa, il risultato peggiore tra i Paesi avanzati. La competitiv­ità, esterna ed interna, si è così deteriorat­a, e non si è aggiustata dopo la crisi.

La ricetta per uscire dal ristagno è sempre la stessa: le riforme struttural­i. Va tuttavia applicata in modo tenace e con maggior continuità. A questo punto ci vuole una dose da cavallo. Il Jobs act ha aperto la strada. Bisogna seguirla con vere riforme, anche negli altri settori che rappresent­ano un ostacolo a chi vuole investire e creare posti di lavoro in questo Paese. Si tratta della pubblica amministra­zione, della giustizia, delle regole della concorrenz­a. Anche per quel che riguarda il mercato del lavoro, il compito non si è esaurito con il Jobs act. Per incentivar­e la produttivi­tà è necessario decentrare la contrattaz­ione salariale al livello delle imprese, come è il caso dei Paesi più efficienti, in particolar­e la Germania. Confindust­ria e sindacati non si sono messi d’accordo, dopo troppi mesi di discussion­e. È venuto il momento che il governo prenda l’iniziativa e adotti con urgenza provvedime­nti che cambino le basi delle relazioni industrial­i, per allineare l’evoluzione delle remunerazi­oni alla produttivi­tà.

Il dato deludente sulla crescita del 2015 non deve scoraggiar­e, ma nemmeno essere negato o dare adito ad alibi. Deve solo spingere a fare di più. Più rapidament­e.

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