Confronto
Per Piazza Affari ieri è stata una giornata positiva: l’indice Ftse- Mib ha guadagnato il 4,7% e le banche hanno registrato rialzi anche maggiori (l’indice di settore ha ripreso il 7,45%). Però il bilancio dalla fine del 2015 cambia poco. Soprattutto per gli istituti di credito, che in Borsa hanno vissuto in poche settimane una vera disfatta. Che ha portato il rapporto fra il loro valore complessivo e il Pil al 5,3% circa. A inizio 2016 era pari all’8,3%.
Secondo l’Ufficio studi di Mediobanca complessivamente la capitalizzazione delle banche quotata in Piazza Affari è passata tra fine dicembre 2015 e l’ 11 febbraio 2016 da 134,6 miliardi a 88,7. Ciò significa che in meno di un mese e mezzo hanno perso il 34,1% e lasciato sul terreno quasi 46 miliardi di valore. Un dato ancora più sensibile se si pensa che metà della capitalizzazione è riferibile alla sola Intesa Sanpaolo, che vale poco meno di 40 miliardi e pressappoco come le altre nove banche più grandi del Paese, compresa Unicredit.
Cifre che rendono ancora
La Borsa italiana è percepita ancora da molti investitori internazionali come «bancocentrica In termini relativi, se si pensa ai listini francese, tedesco o inglese, lo è: sul Ftse-Mib gli istituti di credito rappresentano circa il 25%, ma sulla capitalizzazione complessiva il loro peso è poco più del 21%, quello delle società industriali di oltre il 70% più evidente una sorta di paradosso. La Borsa italiana è ancora percepita da molti investitori internazionali come «bancocentrica». E in termini relativi, rispetto ai listini francese e tedesco o a Londra, ancora in parte lo è, visto che sull’indice Ftse-Mib, che misura la performance dei maggiori 40 titoli, gli istituti di credito rappresentano una quota pari al 25%. Però sulla capitalizzazione di Piazza Affari il loro peso è sceso al 21%, mentre quello delle società industriali ha superato il 70%. Dato ancora più significativo se si pensa che prima della grande crisi, nel 2006, le banche valevano 247,3 miliardi e «pesavano» un terzo della Borsa. Da allora hanno «perso» 160 miliardi, due terzi del valore. Nn basta però guardare il primo e l’ultimo dato: il percorso puntuale «racconta» di quanto la crisi sia stata ancora più grave, e abbia reso più paradossale la percezione «bancocentrica».
Così si può notare che a fine 2011 le banche in Borsa capitalizzavano ancora meno di adesso, 56,8 miliardi, pari al 17,1% del valore totale di Piazza Affari. Cosa è successo dopo? Accanto a una ripresa delle quotazioni, gli istituti hanno realizzato massicci aumenti di capitale: hanno raccolto dal 2005 54 miliardi e solo nel periodo fra il 2008 e oggi circa 48 miliardi. Tutte operazioni di «recovery» che, diversamente da quanto accaduto all’estero, non hanno pesato sul bilancio pubblico. Oggi però queste risorse, superiori a metà della capitalizzazione attuale delle banche, fanno salire il valore «bruciato» a 212 miliardi.
Nel frattempo, soprattutto a partire dal 2011, la quota sulla capitalizzazione di Borsa detenuta dagli investitori istituzionali, soprattutto internazionali, è passata dal 10,3% al 3540%, con un 7% in mano ai fondi sovrani.I colossi mondiali dell’ asset management e i più grandi investitori governativi avevano fino a qualche tempo fa portafogli italiani in equity rilevanti: BlackRock è numero uno con 22 miliardi, poi Vanguard con 11,5, Norges con 8 e People’s bank of China con 5. In gran parte si tratta di investitori che non guardano al breve periodo. Ma la presenza