L’orrore in diretta dei senza scrupoli
Va in onda il nostro orrore quotidiano ripreso per settimane o per mesi dagli occhi delle telecamere nascoste
Nonesistono nostalgiche epoche di paradisi in Terra, ma piuttosto, in ogni tempo, una trama inesausta di sangue, morte, sopraffazione. Ora però ne siamo informati anche attraverso le immagini.
Sul fatto che la storia dell’essere umano sia stata segnata da una pressoché ininterrotta sequenza di orrori non ci sono dubbi. Non esistono nostalgiche epoche di paradisi in Terra, ma piuttosto, in ogni tempo, una trama inesausta di sangue, morte, sopraffazione. Soltanto ora però abbiamo il privilegio di essere informati sulle atrocità del mondo in tempo reale, attraverso notizie ma soprattutto immagini che ci rendono spettatori inermi. Verrebbe quasi da parafrasare la più famosa preghiera cristiana, sostituendo il pane con l’orrore. Dacci oggi il nostro orrore quotidiano. Così nel corso delle nostre banali azioni di tutti i giorni viviamo accompagnati da un sottofondo di fotogrammi agghiaccianti che, come un film senza regista, si sovrappongono in continuazione ai nostri pensieri. Aspetto all’autobus e penso alle ragazze rapite da Boko Haram. Scendendo, mi vengono in
mente le bambine fatte esplodere a distanza nei mercati. Durante una cena con amici, penso alle persone rapite e ammazzate per strappare loro gli organi. Mi lavo i denti e la tratta delle schiave del sesso si riflette nello specchio davanti a me. E quando finalmente chiudo la luce nel mio confortevole letto, non posso non pensare alle migliaia di donne, bambini e uomini ammassati nel gelo e nel fango ai confini dell’Europa.
Ma da qualche giorno un orrore molto più domestico ossessiona il mio personale film quotidiano. Questo orrore è costituito da brevissimi spezzoni che nelle ultime settimane i telegiornali ci hanno proposto con un’allarmante ripetitività. Le immagini sono quelle di bambini piccoli, di anziani, di disabili, di persone con ritardi mentali presi a schiaffi, strattonati, insultati, ingozzati con violenza, lasciati marcire nei loro escrementi. Immagini rese ancora più intollerabili dal fatto di sapere che quelle telecamere sono rimaste accese per quattro, cinque, sei, sette mesi prima che le forze dell’ordine si decidessero a intervenire. È davvero necessario aspettare tanto tempo per mettere fine a tanta inutile sofferenza? Un mese di calci, sputi e intimidazioni non basta per incriminare qualcuno? Questa è la prima domanda che tutte le persone capaci ancora di stupirsi e di provare orrore si fanno vedendo queste sequenze. La seconda domanda è: come è possibile arrivare a tanto?
La cura delle persone con gravi infermità è sicuramente un lavoro altamente logorante, lo sanno tutte le famiglie che hanno un malato a casa. Proprio per questo, esistono delle strutture protette dove il personale si alterna, permettendo così quel recupero necessario che una famiglia non potrà mai avere. E per la delicatezza di questo compito si suppone che chi dirige tali strutture dovrebbe vigilare con estrema severità. Ma questo, ahimè, in molti e forse troppi casi non accade. Un insegnante, una persona singola che attraversa un momento di difficoltà e si lascia andare a qualche eccesso può rientrare nella casistica della fragilità umana, ma chi compie questi abomini lo fa sempre in gruppo, contando sull’omertà e la complicità dei suoi colleghi. Se io mi trovassi in un luogo di lavoro e assistessi anche a uno solo di questi abusi non esiterei a rivolgermi alla direzione e poi alle forze dell’ordine. Perché questo non accade? Perché sono sempre e solo i parenti ad accorgersi di qualche ematoma di troppo, di qualche sguardo terrorizzato, di qualche lacrima sfuggita? La crudeltà verso chi non si può difendere e non può parlare, il disprezzo, la tortura gratuita degli ultimi è qualcosa che mi riempie di un orrore assoluto perché dietro a questi gesti si cela soltanto un sadismo fine a se stesso.
La maggior parte delle atrocità che ci raggiungono ogni giorno dagli schermi e dalle pagine dei giornali sono purtroppo ascrivibili a dei fanatismi ideologici, religiosi, di genere, alimentati da ignoranza e da faide di potere brutale. Ma questi aguzzini moderni, finito l’orario di lavoro, tornano nelle loro case, alle loro famiglie, fanno vite normali. Niente, se non le telecamere nascoste, potrebbe farci immaginare l’abominio di cui sono capaci. Un abominio che da loro evidentemente non viene percepito come tale. Nessuna vergogna, nessun turbamento, nessuna notte insonne.
Di che cosa ci parla questa realtà fuori controllo? Prima di tutto dell’eclissi della coscienza individuale e poi del fatto che abusare un anziano, un malato, un inerme non è più considerato uno di quei gesti che una volta venivano rubricati come atti che «gridano vendetta al Cielo». Il Cielo, come ci insegna ormai la modernità, è vuoto o al massimo popolato da satelliti e droni, e l’occhio che può svelare la nostra infamia non è più quello del Triangolo monoculare, bensì unicamente quello delle telecamere nascoste. Così figure retoriche che avevano popolato e nutrito per secoli l’immaginario della civiltà occidentale — il buon samaritano, gli inviti di Isaia a ricercare sempre la giustizia e quello dei Vangeli di non fare agli altri quello che non si vorrebbe fosse fatto a noi stessi, fino a tutto l’universo dantesco, con la legge del contrappasso — si sono dissolte nel nulla. Al loro posto è comparso l’Uomo di Hobbes: senza scrupoli, indenne da fisime etiche, mosso unicamente dal suo desiderio primario di sopravvivenza.
Svuotando il Cielo, abbiamo tolto alla vita ogni segno di sacralità. E insieme alla sacralità, anche ogni ombra di timore per ciò che ci accadrà una volta che chiuderemo per sempre gli occhi. Quel timore che ha accompagnato tutta la storia dell’umanità. L’Eterno non c’è più. E non essendoci l’Eterno, non c’è più neppure il Giudizio, come anche la chiesa — trasformata ormai nell’immaginario collettivo unicamente in una grande agenzia di servizi e di buoni sentimenti — ci rassicura costantemente.
Il declino dell’Eterno ci rende prigionieri del Tempo. Ma il Tempo, manipolandoci, ci divora, divorando la nostra stessa umanità.
Logorio La cura di persone con gravi infermità logora, perciò ci sono strutture ad hoc. Ma chi vigila? Abomini Siamo accompagnati da immagini agghiaccianti Abomini compiuti in gruppo, grazie all’omertà