«Chiama tutti, aiutatemi»
L’ultima telefonata di Failla dalla Libia: sono solo. Un rapitore parlava italiano
«Aiutami, sto male, ho bisogno di cure mediche, sono solo», sono queste alcune drammatiche frasi delle ultime telefonate di Salvatore Failla alla moglie Rosalba. «Lo picchiavano», ha raccontato la vedova. Che ha aggiunto: «Non voglio funerali di Stato. Potevano salvarlo». Durante la telefonata si sente la voce di uno dei sequestratori che parla in italiano. Per le autopsie minacciati i con le armi i diplomatici della Farnesina.
ROMA Deve essere terribile conservare del proprio marito assassinato in Libia solo la registrazione di una telefonata in cui lui chiede aiuto e poi doverla riascoltare davanti alle telecamere. Rosalba Failla, con le figlie Erika ed Eva, si è sottoposta a tutto questo nello studio dell’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi e ha anche saputo misurare le parole quando ha respinto l’offerta di funerali di Stato per suo marito Salvatore ucciso insieme a Fausto Piano: «Eravamo a buon punto e invece siamo giunti a questa soluzione finale». Nelle ore in cui le autorità libiche davano per imminente la partenza per Roma del C-130 con i corpi dei due dei quattro tecnici della Bonatti rapiti il 19 luglio, la signora Failla ha fatto ascoltare la telefonata giunta a casa sua il 13 ottobre in cui la voce del marito (registrata dai rapitori) la implorava: «Ti prego, aiutami». E le chiedeva di «muovere tutto il possibile», di «avvertire i giornali e i tiggì» perché lui, malato e ormai isolato dai suoi compagni, non avrebbe resistito a lungo. Nella telefonata si sente anche la voce di uno dei rapitori (o magari quella di un intermediario) che parla in un italiano stentato: «Dov’è mio marito? Fatemi parlare con lui», chiede lei. E dall’altra parte del filo chi parla in italiano risponde: «Rosalba, non c’è, lo hanno portato via...». Dopo quel 13 ottobre il telefono dei Failla è squillato molte volte con l’utenza libica che appariva sul display: «Ma io non ho più risposto, ho fatto quel che mi dicevano dalla Farnesina perché, dicevano, intorno alla vicenda di mio marito e dei suoi compagni si stava lavorando... E ora mi sento in colpa per non avere fatto nulla...».
Erika, 23, anni ed Eva, 14, ascoltano la madre e in pubblico non versano una lacrima. «Ci hanno detto di stare zitti, di non fare scalpore ma non è servito a nulla», dice Erika che poi rivela un particolare inquietante, se confermato, sul braccio di ferro con i libici: «Alla famiglia di Fausto Piano hanno detto che sono stati costretti a dare le salme ai libici per l’autopsia perché i nostri funzionari si sono ritrovati con le armi puntate alla testa».
I medici legali contattati dalla famiglia Failla, Luisa Reggimenti e Orazio Cascio, ora sono pronti a partecipare alla
La supplica Il messaggio del marito: «Ti prego, aiutami, sono rimasto solo»
nuova autopsia.«La parte lesa non si sente garantita dall’autopsia svolta in Libia anche se vi ha partecipato un medico indicato dalla Farnesina » , ha detto Cascio: «Speriamo che non abbiano lavato i cadaveri cancellando le tracce utili a indicare la distanza dalla quale sono partiti i colpi». La vicenda, l’avvocato Caroleo Grimaldi la riassume così: «Dopo il rientro lampo in Italia di Pollicardo e di Calcagno (i colleghi liberati, ndr) questo braccio di ferro sui morti è un’infamia».