Corriere della Sera

Non più fallito ma «insolvente» La sfida culturale della Consulta

- Di Massimo Sideri

Quante volte abbiamo sentito la storia del «fallimento» di Steve Jobs con la sua NeXt e di quanto importante sia stato per fare della Apple quello che è oggi. Ma in Italia «sei un fallito» significa tante cose, troppe, e nessuna di esse lascia scampo. Quello ha fallito nella vita, il matrimonio è fallito, ha fallito all’esame. Non c’è redenzione di fronte a un giudizio prima di tutto «morale». Basterebbe leggere sulla Treccani i sinonimi: bancarotta, crac, patatrac, rovina, tracollo, flop, scacco. Il fallimento è come un diamante: è per sempre, anche ora che su Google è previsto il diritto all’oblio per il carcere. Intendiamo­ci: il fallimento economico è una cosa grave, non certo da sminuire, anche perché ricade sugli altri. A pagare sono i creditori. Ma la battaglia per la quale la Corte costituzio­nale ha indicato il Parlamento come luogo naturale del dibattito è soprattutt­o culturale. Le società falliscono, ma per gli individui si trovi un termine equipollen­te ma un pochino più «petaloso», per evitare quella gogna sociale che ha portato molti imprendito­ri al suicidio. Insolvente? Potrebbe essere una soluzione. Il caso è stato sollevato dal tribunale di Vicenza che aveva rimandato proprio alla Consulta la questione. Anche il sottosegre­tario all’Economia, Pier Paolo Baretta, e la presidente della commission­e Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, hanno sposato la battaglia sottolinea­ndo che bisogna evitare il senso di gogna morale. Il dibattito era già stato affrontato durante il governo Monti con il decreto sulle start up. In particolar­e le start up innovative già oggi sono protette dalla procedura concorsual­e e dalle conseguenz­e del diritto fallimenta­re che è del 1942. In un mondo in cui è normale non arrivare al primo o al secondo anno di vita, il fallimento fa parte del gioco tanto che chi investe in queste società è chiamato venture

capital, investitor­e di ventura. Una commission­e predispost­a dal ministro Orlando ha già lavorato a un disegno di legge e, secondo Baretta, un cambiament­o si potrebbe avere già entro la fine del 2016. A un certo punto ci potrebbe essere l’ultimo fallito e il primo «fortunato» insolvente.

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