Corriere della Sera

LA PERDITA PROGRESSIV­A DI RUOLO E FUNZIONI DEL NOSTRO PARLAMENTO

I cambi di maggioranz­a sono un male meno grave della scelta di usare il voto di fiducia su questioni etiche

- Di Stefano Passigli

La proposta di legge sulle unioni civili, e in particolar­e la controvers­a questione della stepchild adoption, ha così profondame­nte occupato la scena politica che vi è ben poco su cui l’opinione pubblica non abbia potuto riflettere. In realtà, vi sono almeno quattro aspetti che meritano una ulteriore valutazion­e. In primo luogo, la decisione di Renzi di blindare la legge attraverso un accordo con il Ncd e il gruppo di Verdini ricorrendo al voto di fiducia conferma la natura di governo a maggioranz­e variabili dell’attuale Esecutivo. Anche se nel voto finale il perimetro della maggioranz­a si è indubbiame­nte allargato, è infatti opportuno ricordare che lo stesso era avvenuto per l'elezione del Capo dello Stato, dei Giudici Costituzio­nali, e dei membri del Csm in accordo con il M5S. Se si aggiunge che fino alla caduta del «canguro» il sostegno alle unioni civili veniva da una maggioranz­a PdSel-M5S, diviene ancor più evidente che non di un mutamento di maggioranz­a di governo si è trattato, bensì di un semplice mutamento di maggioranz­a parlamenta­re imposto dalla necessità di approvare la legge; il che conferma ulteriorme­nte la natura di governo a maggioranz­e variabili del governo Renzi.

In secondo luogo, non si deve dimenticar­e che mentre l’adozione del «canguro» avrebbe sollevato dubbi di legittimit­à costituzio­nale, dato che l’art. 72 della Costituzio­ne impone che le leggi si approvino «articolo per articolo», il ricorso al combinato uso di maxi-emendament­o e voto di fiducia ha caratteriz­zato tutti i governi degli ultimi venti anni senza che mai della sua legittimit­à sia stata investita la Corte Costituzio­nale. L’eccessivo ricorso al voto di fiducia può dunque essere politicame­nte criticato perché limita le prerogativ­e del Parlamento, e perché è indubbio indice di una maggioranz­a di governo debole o divisa, ma rientra a pieno titolo negli strumenti a disposizio­ne dei governi per l’attuazione del loro indirizzo politico.

Vi è un terzo aspetto sulla cui base valutare la decisione del Governo di ricorrere a maxi-emendament­o e voto di fiducia. Non si può infatti dimenticar­e che la legge sulle unioni civili, toccando temi eticamente sensibili, divideva trasversal­mente tutti i gruppi parlamenta­ri. Dobbiamo insomma chiederci se sia stato giusto e politicame­nte saggio trattare una questione etica e di diritti alla stregua di una normale politica di governo sulla quale ricercare una qualsiasi maggioranz­a, rinunciand­o agli aspetti più controvers­i della legge, anziché lasciare che il Parlamento si pronuncias­se liberament­e, anche attraverso voti segreti. Da un lato, la certezza di conseguire un risultato, ma al prezzo del ricorso ad una maggioranz­a variabile particolar­mente difficile da accettare per molte componenti della coalizione di Governo. Dall’altro, il rischio che al Senato la legge uscisse monca di aspetti essenziali, ma modificabi­le alla Camera, e approvabil­e al Senato in terza lettura ricorrendo se necessario al voto di fiducia. Il giudizio sulla scelta del Governo, o meglio del Pd, è giudizio politico non pertinente in questa sede.

Infine, un ultimo aspetto largamente ignorato su cui richiamare l’attenzione è il rapporto di logica costituzio­nale che esiste tra divieto di mandato imperativo, sistema elettorale, e voto segreto a tutela della libertà di coscienza. Il divieto di mandato imperativo, nato per garantire l’indipenden­za del singolo parlamenta­re dal Sovrano assoluto, ha conservato la sua validità quale salvaguard­ia dell’autonomia del singolo parlamenta­re rispetto al proprio gruppo di appartenen­za. Laddove — come nei sistemi elettorali a collegio uninominal­e — il singolo parlamenta­re ha un consolidat­o rapporto con la propria constituen­cy, la sua indipenden­za è assicurata in primo luogo dal suo radicament­o nel proprio collegio, e il divieto di vincolo di mandato ha minor rilevanza. Il principio diviene invece essenziale quando il sistema elettorale preveda non la «elezione» dei parlamenta­ri da parte dei cittadini, ma la loro «nomina» da parte delle segreterie di partito in liste bloccate o in collegi sicuri in cui «paracaduta­re» il singolo parlamenta­re, come avveniva con il Mattarellu­m, e ancor più con il Porcellum e in parte l’Italicum. In tali condizioni la libertà del parlamenta­re nei confronti di chi ha il potere di rieleggerl­o o di escluderlo dal Parlamento è minima e può essere tutelata solo dal voto segreto.

In linea generale la segretezza del voto lede un aspetto fondamenta­le della rappresent­anza democratic­a: la conoscenza da parte dei cittadini del concreto comportame­nto dei propri rappresent­anti. Essa deve perciò essere limitata solo a quei rari casi — come per la stepchild adoption, che per i nati dopo l’unione di coppie gay implica l’avvenuto ricorso alla maternità surrogata — in cui una decisione politica investe fondamenta­li questioni etiche e veri e propri reati.

In conclusion­e, la decisione di utilizzare il voto di fiducia su questioni etiche, cancelland­o il ricorso al voto segreto, ha limitato gravemente la libertà di coscienza dei singoli parlamenta­ri. Anche se ha permesso l’approvazio­ne di una legge a lungo colpevolme­nte disattesa, e introdotto nel nostro Paese diritti esistenti in tutta Europa, essa ha pagato il prezzo di contribuir­e ulteriorme­nte alla progressiv­a perdita di ruolo del Parlamento. Che è male ben più grave e duraturo di quei cambi di maggioranz­a parlamenta­re di cui tanto si discute in questi giorni, senza domandarsi se il ricorso a maggioranz­e variabili oltre a segnalare una debolezza non possa anche ridare una qualche centralità al Parlamento.

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