Colto e popolare, ironico e sofisticato Lo sguardo di Umberto Eco sulla storia
Il Medioevo fantastico, il Rinascimento iniziatico, il passato come reperto L’approccio (postmoderno) di un intellettuale che amava simboli e citazioni
Sebbene Umberto Eco non sia completamente iscrivibile nella Postmodernità, in quanto nasce come semiologo strutturalista, lo sono la sua opera letteraria, in parte quella saggistica e la sua passione da bibliofilo. E poiché la Postmodernità, nata nel ’79 con La condizione
postmoderna di Jean-François Lyotard, si è interrotta con la crisi del 2008, come ha scritto Carlo Bordoni su «la Lettura» (2 agosto 2015), possiamo inquadrare la produzione di Eco in questo arco di tempo.
Cosa sia stata la Postmodernità è noto: rottura nella fiducia per il Moderno, uso del passato come reperto, piacere per la citazione, mix di colto e popolare, costruzione di «simulacri» (Baudrillard), adesione all’Ermeneutica con dosi di Relativismo... Sono aspetti che si ritrovano nei romanzi di Eco a partire da Il nome della
rosa (1980), il più rappresentativo, ricco di citazioni, leggibile su più livelli, mix di sofisticazione Insegnamenti Dalla scuola di Warburg eredita il culto per la lettura iconologica delle immagini
e gothic romance.
Sin dal 1983, quando scrisse
Postille a Il nome della rosa
(Bompiani), Eco appare consapevole di esser parte della svolta Postmoderna: «Arriva il momento che l’Avanguardia (il Moderno) non può più andare oltre — scrive —, perché ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (l’arte concettuale). La risposta postmoderna consiste nel riconoscere che il passato (...) deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente».
La perdita dell’innocenza nello sguardo sul passato, che Les Annales e l’Ermeneutica hanno contribuito a puntellare, ha caratterizzato lo sguardo di Eco su momenti e personaggi della storia che si piegavano al gioco colto, alla decontestualizzazione, alla «logica del travisamento» (Bloom). In particolare, al Medioevo e alla cultura ermetica del Rinascimento; solo la sua tesi di laurea (uscita nel 1956) su Il problema estetico in Tommaso d’Aquino (discussa con Luigi Pareyson) si discosta da ciò.
Nella collana Bompiani dedicata a «Il Pensiero Occidentale», diretta dal rimpianto Giovanni Reale, gli Scritti sul pensiero medievale di Eco sono 1.332 pagine di testi che, partendo dal ’56 giungono alla «Intervista (immaginaria) a Tommaso d’Aquino» per il «Corriere della Sera» (21 ottobre 2010). In Eco, il Medioevo si sposa con Rinascimento e Barocco nella sotterranea dimensione dell’Anticlassicismo esplorata da grandi studiosi del ’900, da Jurgis Baltrušaitis ( Il Medioevo fantastico, Adelphi, 1973) a Eugenio Battisti ( L’Antirinascimento, Feltrinelli, 1962), Rudolf Wittkower ( Allegoria e migrazione dei simboli, Einaudi, 1987) e tutta la scuola di Warburg, dalla quale Eco eredita il culto per la lettura iconologica delle immagini. E quali sono le icone che attraggono il nostro Guglielmo da Baskerville? Sono quelle del Medioevo e Rinascimento sapienziale e iniziatico, filone nel quale ha preso forma, in modo iconograficamente stabile, il culto per la « Prisca sapientia » . Come scrisse lo stesso Eco nel 1985 ( Sugli specchi e altri saggi, Bompiani), questo filone è il luogo in cui «ha preso forma il culto del misticismo ebraico e arabo, e della gnosi. È il Medioevo sincretistico che vede nella leggenda del Graal, nella vicenda storica dei Cavalieri del Tempio e da questi, attraverso la affabulazione alchemica, gli Illuminati di Baviera, sino all’attuale massoneria, il dipanarsi di una sola e continua storia iniziatica. Acritico e antifilologico, questo Medioevo vive di allusioni e di illusioni, riesce sempre e mirabilmente a decifrare, ovunque e con qualsiasi pretesto, lo stesso messaggio. Fortunatamente, per noi e per gli adepti, il messaggio è andato perduto, ciò che rende l’iniziazione un processo senza fine... Mistico e sincretistico, esso voracemente ascrive alla propria storia intemporale tutto ciò che non può essere né provato né falsificato». Da qui le critiche dei filologi, la «stroncatura» di Cesare Segre («Corriere della Sera», 7 aprile 2010) di Il Medioevo. Cattedrali Cavalieri Città (a cura di Eco, EncycloMedia Publishers), gli attacchi da sinistra e da destra per il sovrapporsi dei piani saggistico e letterario, quest’ultimo non abbastanza engagé o lontano dalla Lebenswelt.
Con il passare degli anni credo che Eco abbia maturato una compulsiva ossessione verso i libri che contenevano illustrazioni di simboli sapienziali sino a farli diventare la sua Via del Rifugio che conduceva dalla parte opposta rispetto ai comportamenti sociali contemporanei, anche alla «idiota» fascinazione per il digitale. Anzi, in un magistrale articolo («la Repubblica», 27 giugno 2013) mostrò come il celebrato metodo di Wikileaks fosse già compreso nella cultura rosacrociana.
L’ultimo ricordo che ho di Eco è alla presentazione della mostra Da Brera alle Piramidi alla Biblioteca Braidense nel febbraio di un anno fa. La inaugurò con un incontro sui geroglifici di Athanasius Kircher. Ovviamente falsi.