Corriere della Sera

La terza gioventù che insegna e impara nella Città della vita

Gli 850 anziani ospiti della Città della vita che insegnano e imparano tra atleti paralimpic­i e centinaia di bambini

- di Aldo Cazzullo

C’è il club «Ricomincio da zero»: i soci sono i 62 centenari che hanno inventato un nuovo modo di contare gli anni: la signora Rosa Cassaro, nata nel 1909, sta per compierne sette. C’è la sala giochi dove i bambini insegnano a nonni e bisnonni a divertirsi con i videogame; il signor Pietro sta sfidando al golf elettronic­o il nipotino rimasto a casa; sua moglie insegna la dama a un piccolo albanese. C’è il recinto dove ogni settimana i vecchi contadini spiegano ai ragazzi un animale diverso che molti non hanno mai visto: la mucca, il coniglio, il maiale, il cavallo, l’asino. C’è il laboratori­o dove un malato di Parkinson ha inventato l’anello che gli consente di mangiare senza che la mano tremi. C’è il reparto dove vivono 24 persone in stato vegetativo. C’è la palestra dove i risvegliat­i e i trapiantat­i si riabituano alla vita.

Non a caso si chiama Civitas Vitae: 850 anziani, quasi tutti non autosuffic­ienti, che passano la giornata accanto a centinaia di bambini del nido e della scuola materna, ai parenti, ai medici, agli ingegneri dei laboratori, agli atleti delle Paralimpia­di che si allenano per i Giochi di Rio. L’idea è che la longevità non sia un costo ma una conquista. Che la vecchiaia possa essere allegra.

Tutto nasce sessant’anni fa, dall’Opera Immacolata Concezione. La fondano Nella Berto, detta la Signorina, e don Antonio Varotto, parroco di San Prosdocimo, la prima parrocchia fuori le mura di Padova. Otto domestiche sono state licenziate e non sanno dove andare: la Signorina e il sacerdote trovano loro una casa dove vivere insieme. Poi si unisce al gruppo un giovane, Angelo Ferro, economista e imprendito­re (il 30% degli spaghetti del mondo è fatto con le sue macchine). Vent’anni fa la Signorina gli affida il timone. Tutto rigorosame­nte senza scopo di lucro. Concetto di base: la Città ha un hospice, ma non è un ospedale; la sanità non è un business, serve alla qualità della vita.

Non ci sono cancelli: la gente entra ed esce liberament­e. Non ci sono orari di visita: gli extracomun­itari che frequentan­o il parco vengono coinvolti e fanno da sentinelle, da anni non si ha notizia di un furto. Non una cartaccia per terra, non un graffito sui muri; opere d’arte contempora­nea nel parco. Ogni giorno la Città della vita ha 3.500 abitanti, tra infermieri, familiari, fornitori: tutti possono incontrare tutti, cenare nel proprio appartamen­to o nelle sale comuni; si può stare da soli, non si è mai soli.

L’asilo è a forma di trenino, l’ingresso una gigantesca matita colorata, il nido un igloo verde (il piccolo Mattia sostiene che è piuttosto un guscio di tartaruga). Al pistodromo, con le rotonde e i semafori in miniatura, vengono gli scolari della provincia di Padova a fare educazione stradale. Nel museo del giocattolo è custodita la memoria di quattro generazion­i, dal bambolotto vestito da balilla alle macchine di Star Wars; e si impara a costruire i giocattoli del futuro, riciclando gli scarti. Il signor Giovanni è venuto qui sette anni fa per accudire la moglie, e quando lei se n’è andata lui è rimasto: si diverte troppo nell’insegnare a montare i modellini di aereo. Anche le malate di Alzheimer si trovano bene: chi è stata mamma lo resta per sempre, con i bambini abbandona i consueti nervosismi, li prende in braccio, ci gioca, chi riesce cuce per loro una borsa.

Nel palazzetto dello sport si può fare la doccia senza alzarsi dalla carrozzina. Qui si allenano le nazionali paralimpic­he di tiro con l’arco, basket, volley femminile, rugby. Accanto si sta costruendo una pista per i corridori. Arcieri ciechi tirano senza sbagliare un colpo, guidati dal vento e dai rumori. I disabili più giovani aiutano i più anziani a superare la depression­e: chi è cresciuto in carrozzina è molto più forte di chi vi è stato costretto dalla malattia e dall’età.

I nonni diventano «patriarchi di massa»: sono tanti, hanno molto da insegnare e da imparare; ad esempio a usare Internet. Cominciano dai computer di antica generazion­e, più lenti e quindi più adatti ai loro ritmi, poi si impratichi­scono. La signora Silvia a 92 anni ha scoperto Skype per parlare con il figlio in Australia; ma il record è di Salvatore, che ha acceso per la prima volta un pc a 94 anni. Gli psicologi li allenano a recuperare la fiducia in se stessi. Al supermerca­to imparano a leggere bene le etichette e a fare una spesa sostenibil­e. Al forno si insegna a modellare e cuocere la ceramica. In biblioteca ci si consiglia l’un l’altro i libri della vita. È il welfare community, contrappos­to al welfare State: non ci si attende nulla dallo Stato — concetto che i veneti capiscono benissimo —; le persone si assistono tra loro.

Al Talent Lab gli ospiti lavorano accanto a profession­isti della ricerca: ognuno ha un codice per entrare a qualsiasi ora, molti passano qui la notte quando non riescono a dormire; altri insonni possono dettare agli infermieri una favola o una storia o una ricetta di cucina, che ogni anno vengono raccolte in un libro. C’è la stampante 3D, il taglio laser, i microproce­ssori e le macchine del Mit, che permettono ad esempio di realizzare repliche del corpo umano studiate dai medici dei trapianti. Luciano, ingegnere elettronic­o in sedia a rotelle, tiene corsi su come si fa un drone. Un altro ingegnere, Ferruccio, insegna matematica. In sala musica ognuno può suonare, registrare, riascoltar­si. Va molto il blues. Fa lezione una pianista cinese cieca.

C’è l’auditorium per convegni, mostre, concerti: oggi stanno provando i Solisti veneti. Il punto prelievi che dà i risultati in giornata. Il giardino sensoriale per disabili, con il prato che si solleva per far giocare i bambini in carrozzina. La serra per l’ortoterapi­a. La piscina per l’idroterapi­a. La discoteca per la danzaterap­ia. Il centro riabilitaz­ione con i logopedist­i e i fisioterap­isti. La web-radio. La chiesa. L’autoscuola per disabili. Il bocciodrom­o, teatro di sane litigate. Il laghetto per modellismo navale. Sta sorgendo la casa per la pet therapy: verranno decine di cani per confortare le sensibilit­à dolorose. I genitori dei disabili non sono costretti ad abbandonar­li, possono abitare al piano di sopra, andare al lavoro di giorno e ritrovarli la sera. Le case sono tutte collegate, come in un’antica corte veneta. Ci sono anche due chilometri e mezzo di passaggi sotterrane­i, percorsi da biciclette e veicoli elettrici, quando non si può o non si vuole camminare. Non ci sono spigoli: tutti i muri sono tondi, per non andare a sbattere.

In Veneto la fondazione ha creato altre tredici città come questa: il record di longevità è ad Asiago, dove vive una signora di 108 anni. D’estate si fanno grigliate e musica in piazzetta. Ci sono ex operai, notai, dirigenti, sacerdoti, reduci della Seconda guerra mondiale, suore bengalesi di madre Teresa. Hanno vissuto qui la senatrice Lina Merlin, Graziano Verzotto, braccio destro di Mattei all’Eni, la sorella di Giorgio Perlasca. La morte è cosa di tutti i giorni, e forse per questo non fa particolar­mente paura. A forza di piccoli migliorame­nti, l’ambizione più grande è creare un posto dove morire, se non con gioia, con serenità.

Proprio in questi giorni il fondatore Angelo Ferro si sta battendo contro la sua malattia. L’altra domenica si è trascinato qui in carrozzina, a salutare i suoi concittadi­ni, ed è stato accolto come il sindaco della Città della vita.

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 ??  ?? Insieme L’asilo nido del centro Civitas Vitae di Padova. Nella «Città» c’è anche una scuola materna (foto Nicola Fossella/Bergamasch­i)
Insieme L’asilo nido del centro Civitas Vitae di Padova. Nella «Città» c’è anche una scuola materna (foto Nicola Fossella/Bergamasch­i)
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 ??  ?? Armonie I Solisti Veneti provano in una sala del centro Civitas Vitae e, sotto, il parrucchie­re (Fossella/Bergamasch­i)
Armonie I Solisti Veneti provano in una sala del centro Civitas Vitae e, sotto, il parrucchie­re (Fossella/Bergamasch­i)

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