Corriere della Sera

«Europa, debito alto e poche riforme Il rischio più grande? La crisi dei rifugiati»

L’ex consiglier­e della Casa Bianca, Feldstein: sono invece ottimista su Usa, Cina e India

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Il vero rischio per l’economia globale non sono il rallentame­nto cinese o la fragilità delle economie emergenti, tanto meno il pericolo di una recessione americana in un futuro prossimo, sostiene Martin Feldstein, 76 anni, professore all’università di Harvard e uno degli economisti americani più ascoltati. A preoccupar­lo è soprattutt­o l’Europa, con i suoi grandi debiti pubblici, gravi problemi struttural­i e la crisi dei rifugiati, che minaccia la sopravvive­nza dell’Unione. E, in questa intervista, l’ex presidente del National Bureau of Economic Research e super consiglier­e economico alla Casa Bianca con Ronald Reagan, nonché uno dei più attenti osservator­i della politica interna ed estera, spiega perché le nuove misure espansioni­stiche lanciate giovedì 10 marzo dalla Banca centrale europea potrebbero rivelarsi inefficaci.

Professor Feldstein, nonostante l’opposizion­e tedesca la Bce ha usato il bazooka per accelerare la ripresa europea e allontanar­e il rischio di deflazione. Mario Draghi l’ha sorpresa?

«Non sono stato sorpreso. I tedeschi si sono opposti a molte delle politiche della Bce, ma sono costretti a procedere. Il più grande problema per la Germania probabilme­nte è l’acquisto di corporate bond da parte della Bce, perché aumenta il rischio potenziale per i contribuen­ti tedeschi».

Se «Super Mario» è tornato, significa che l’Europa è davvero in serio pericolo. Che cosa prevede per l’eurozona?

«Penso che le politiche monetarie non convenzion­ali hanno funzionato negli Stati Uniti perché hanno fatto crescere i prezzi delle azioni e perciò hanno aumentato la ricchezza delle famiglie. Questa stessa politica monetaria portata avanti dalla Bce, però, non può avere successo in Europa perché il possesso di azioni non è ugualmente diffuso tra le famiglie. E i tassi di interesse molto bassi non sono riusciti a far salire i prezzi dei titoli. Credo, però, che la minaccia maggiore alla sopravvive­nza della Ue sia la crisi dei rifugiati».

Riuscirann­o le nuove misure della Bce ad allontanar­e il rischio di deflazione, data la drastica revisione nelle previsioni sull’inflazione a 0,1% per il 2016 dall’1% di dicembre?

«Il Quantitati­ve easing ha fatto crescere l’inflazione americana rafforzand­o l’economia e riportando gli Stati Uniti alla piena occupazion­e. Ma il Qe nell’eurozona non ha ridotto la disoccupaz­ione a un livello che produce pressione inflazioni­stica, perciò funziona solo aumentando il costo delle importazio­ni. Un effetto insufficie­nte a controbila­nciare la caduta dei prezzi del petrolio».

Quale tra le misure annunciate da Draghi avrà maggiore efficacia sulla crescita?

«È una scelta tra un insieme di politiche deboli. L’aumento del Tltro (i prestiti alle banche a condizioni molto agevolate, ndr) potrebbe funzionare se le aziende fossero disposte a prendere prestiti e le banche volessero concedere finanziame­nti, ma nessuna di queste ipotesi mi sembra molto probabile».

La mossa della Bce, giovedì, inizialmen­te ha fatto cadere il cambio dell’euro di un centesimo sul dollaro, ma poi la moneta unica ha cambiato direzione e ha superato il punto di partenza, oltre quota 1,12. Che cosa sta succedendo sui mercati valutari?

«Sono perplesso. La politica della Bce di abbassare i tassi di interesse all’inizio ha avuto l’effetto atteso, facendo scendere il cambio euro-dollaro da 1,40 a

1,06. Penso che l’inversione di tendenza dopo la conferenza stampa della Bce abbia rispecchia­to la dichiarazi­one di Draghi che non ci sono piani per ulteriori tagli dei tassi».

Vista l’incertezza sull’economia globale e la forte volatilità, crede che la Banca centrale americana dovrebbe continuare ad alzare i tassi di interesse o fermarsi?

«La Fed dovrebbe continuare ad aumentare i tassi di interesse. Negli Usa c’è la piena occupazion­e (con un tasso di disoccupaz­ione del 4,9%) e l’indice dei prezzi al consumo core (escludendo cioè i prezzi di energia e prodotti alimentari, ndr) è salito al 2,2% negli ultimi 12 mesi. Sebbene il rallentame­nto globale e il rafforzame­nto del dollaro abbiano indebolito le esportazio­ni reali degli Stati Uniti, il declino netto dell’export ha inciso sul livello del Pil nel secondo semestre del 2015 — il dato ufficiale più recente

— soltanto per uno 0,25% circa».

Molti però sono scettici sullo stato di salute dell’economia americana. Vede un rischio di recessione?

«L’economia americana sta facendo molto bene in termini di ripresa ciclica. Non vedo rischi di recessione nel 2016 o nel 2017, a meno di una reazione finanziari­a agli attuali errori di valutazion­e degli asset, causati dalla prolungata politica della Fed di bassi tassi di interesse».

Qual è il problema più grande dell’economia globale: la Cina, la fragilità degli altri mercati emergenti, dal Brasile alla Russia, o il petrolio low cost?

«Il problema maggiore è la mancanza di riforme struttural­i Paese per Paese. La Cina? Pechino sta cambiando la struttura della domanda, questo comporta un rallentame­nto. E indebolisc­e la domanda di export verso la Cina. La Russia è stata severament­e colpita dalla caduta dei prezzi del petrolio. Il Brasile sconta la combinazio­ne di prezzi del greggio più bassi e un grosso scandalo di corruzione».

È ottimista sul futuro?

«Sono ottimista sul futuro degli Usa, anche se abbiamo significat­ivi problemi di lungo periodo,

come l’aumento del debito pubblico. Penso che Cina e India continuera­nno a fare bene. Mi preoccupa di più l’Europa con i suoi grandi debiti pubblici, la crisi dei rifugiati e profondi problemi struttural­i».

Secondo lei le banche centrali, dalla Fed alla Bce alla Bank of Japan, ci stanno salvando o finiranno per provocare un’altra bolla, che potrebbe scoppiare in una crisi molto pericolosa, per affrontare la quale non ci saranno rimaste più munizioni? Ma poi qual è l’alternativ­a, se le banche centrali sono viste oggi come gli unici soggetti in grado di fare qualcosa?

«C’è un pericolo serio che le politiche monetarie anti convenzion­ali abbiano indotto gli investitor­i e i finanziato­ri a cercare un rendimento ad ogni costo con modi che hanno falsato valutazion­e e prezzi degli asset. E questo potrebbe finire in una brutta crisi. Ma non è uno scenario inevitabil­e e un aggiustame­nto graduale da parte delle banche centrali e degli investitor­i potrebbe impedirlo. La politica monetaria non è the only game in town. I singoli governi possono stimolare la domanda con politiche fiscali neutre, ad esempio attraverso una combinazio­ne di agevolazio­ni fiscali sugli investimen­ti e maggiori tasse sulle imprese, cioè stimolare nuovi investimen­ti mantenendo il deficit invariato con la tassazione dei vecchi profitti».

@16febbraio

La ripresa L’economia americana sta facendo molto bene in termini di ripresa. Non prevedo una recessione

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