SERVONO OBBLIGHI NON SCELTE, PER ABITUARE GLI UOMINI AL CONGEDO PARENTALE
I«latte papas», nome con cui si identificano in Svezia i padri che restano a casa per prendersi cura della prole, non se la passano bene neanche in Inghilterra. Il «Financial Times» ha rivelato che, a un anno dal lancio dello Shared Parental Leave — provvedimento che dà ai genitori la possibilità di dividersi le 50 settimane di congedo parentale (di cui 37 retribuite) — il numero di papà che ne hanno usufruito è tra lo 0,5% e il 2%. Certo, bisogna attendere (almeno il 2018, assicurano i promotori) per vedere l’impatto reale che la nuova politica avrà sulla società inglese. Non si può cambiare in un anno la cultura di un Paese che — tuonò Nick Glegg — «quando si tratta di famiglia, si basa su regole edoardiane». L’incentivo economico è fondamentale per spingere i padri a occuparsi dei neonati ma non basta. Per cambiare il dna familiare dell’Europa, servono obblighi non scelte. I Paesi dove la responsabilità della prima cura è più distribuita sono quelli — Svezia, Norvegia, Islanda — che hanno introdotto un periodo di congedo solo per i padri. In Italia al momento sono previste 48 ore, il «Corriere della Sera», attraverso la piattaforma della «27esima ora», si è fatto promotore di un emendamento che porti a quindici i giorni di paternità obbligatoria (pagati all’80%). Sarebbe un inizio, un primo passo per arginare i pregiudizi che ancora affliggono i papà che restano a casa: lavativi, scarsamente ambiziosi, poco virili. Emancipandoli dal senso di spaesamento nei confronti del neonato, quell’inadeguatezza che in tanti spacciano per «biologica», quando forse è — ancora una volta — solo culturale. Sarà una sfida per tutti, anche per le mamme. Non sarà facile per tutte rinunciare al decido-tutto-io tramandato da generazioni. E contemporaneamente trovare sexy quei mariti con le occhiaie che cambiano i pannolini.