NON SI PUÒ CRESCERE CHIEDENDO SOLO DIRITTI E TRASCURANDO I DOVERI Sforzo comune Tutti devono rimboccarsi le maniche, altrimenti non ci sarà uno sviluppo ma un addio collettivo alle libertà individuali
Nel nostro Paese si dibatte spesso sui motivi che ci relegano agli ultimi posti delle classifiche internazionali su competitività, sviluppo, innovazione, libertà economiche, produttività ed altre variabili. Il World Economic Forum nel suo Global Competitiveness Index basato su tre indici (Contesto macroeconomico nel quale pesa il debito pubblico e la pressione fiscale, la qualità delle pubbliche amministrazioni e la tecnologia), ci assegna un poco lusinghiero 49° posto su 144 Paesi analizzati a pari punti con Kazakhstan, Costa Rica, Filippine e Panama.
Si fanno molte analisi per cercarne le cause, altre ancora per capire come sia stato possibile accumulare un così gravoso debito pubblico che peraltro rappresenta anch’esso un grande freno allo sviluppo. I motivi sono sicuramente di natura economica, di organizzazione, di eccesso di legislazione ma credo che una parte non irrilevante là si possa riscontrare nel binomio diritti - doveri. Il nostro Paese sembra infatti la patria dei diritti ma non quella dei doveri; vi sarà capitato di seguire i talk show televisivi e soprattutto i dibattiti con i politici. In tal caso avrete sentito frequentemente la parola diritti ma difficilmente quella doveri. Tutti i politici elencano una serie di diritti che secondo loro vanno implementati senza neppure conoscere a volte la composizione della nostra spesa pubblica e senza pensare che gran parte di quello che consumiamo oggi non lo paghiamo noi ma la mettiamo a debito delle future generazioni.
Nella dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo adottata nell’aprile del 1948 si legge che «diritti e doveri sono interrelati in ogni attività umana, sociale e politica. Mentre i diritti esaltano la libertà individuale, i doveri esprimono la dignità di quella libertà».
Tratto quindi l’argomento perché lo ritengo essenziale per il futuro del nostro Paese sapendo che non si può generalizzare e pensando con rispetto alle tante persone che i doveri li avrebbero voluti fare ma che per motivi fisici o psichici o per cattiva sorte non hanno potuto. Orbene, tutti hanno diritti: alla sanità, alla scuola, alla pensione, alla casa, al lavoro e così via. Ma chi deve garantire questi diritti se non l’individuo stesso e la collettività degli individui nell’ambito delle proprie disponibilità? E come si attuano i diritti? Solo se il «collettivo» nel suo insieme adempie pienamente ai propri doveri. Ad esempio, tutti hanno diritto di essere curati e di non incappare in malasanità. Ma spesso la malasanità dipende da altri soggetti che non hanno fatto il proprio dovere. Il viadotto crollato o la strada rovinata e piena di buche limitano i diritti dei cittadini alla circolazione e alla sicurezza; spesso non è colpa della natura avversa ma responsabilità di chi ha progettato e costruito con scarso senso del dovere.
Nelle pubbliche amministrazioni (ma il concetto vale anche per le attività private) ci sono molte cose che non funzionano. Poi si scopre che tanti rappresentanti del popolo pensavano solo ai propri interessi con un senso civico del dovere prossimo allo zero. Ma sono pochi o è poco diffuso il senso civico del dovere? A guardare la cronaca c’è di che preoccuparsi: i falsi braccianti agricoli scoperti a migliaia, gli ispettori Inps che «taroccavano i verbali di accertamento» e non erano mica pochi; i falsi invalidi a migliaia che tolgono diritti ai veri invalidi; i fatti di Roma (mafia capitale) non certo di poche persone.
E che dire di gran parte dei Consigli Regionali accusati di spese non consone o delle acquisizioni di certuni «a loro insaputa». Per non parlare poi del dovere di pagare le tasse; e invece dalle dichiarazioni Irpef 2014 (per l’anno 2013) risulta che il 46,5% dei contribuenti (19,079 milioni) hanno redditi da zero o negativi fino a 15.000, dichiarano solo il 16,20% del totale dei redditi, cioè 130 miliardi per un reddito medio di 6.851 (571 euro al mese, meno di un pensionato sociale con integrazione); l’imposta media pagata è pari a 485 per contribuente ma considerando il rapporto cittadini italiani (60.782.668) su contribuenti (40.989.567) ogni contribuente ha in carico 1,483 cittadini per cui ai 19,079 milioni di dichiaranti fino a 15.000 corrispondono 28.295.197 cittadini e l’imposta media annua pagata pro capite è pari a 327. Per garantire la sola sanità che costa 1.790 per ogni cittadino occorre che altri paghino circa 41 miliardi di euro.
Vi pare che un Paese come l’Italia abbia la metà della popolazione sotto la soglia di povertà? E come si fa a garantire il diritto alla pensione, all’assistenza e alla sanità con questo pesante squilibrio diritti-doveri? Oggi, come risulta dal 3° Rapporto di Itinerari Previdenziali la metà dei pensionati sono assistiti e lo Stato spende circa il 53% della spesa totale per pensioni, assistenza e sanità. Per dare diritti occorre che tutti ci si rimbocchi le maniche senza se e senza ma; diversamente non ci sarà sviluppo ma un addio ai diritti e alla libertà individuale che questi esprimono.