LA SUPER-MOSCHEA NON SI FA PER COLPA DELLA SHARIA
Lei si era appellata al Consiglio locale della Sharia, la legge islamica: «Mio marito mi picchia e mi umilia tutti i giorni, io non voglio più avere rapporti intimi con lui e voglio divorziare. Mi è permesso, secondo la nostra fede?». «No», è stata la risposta del Consiglio. Così è tornato un pezzo di Medioevo ad Aarhus, la seconda città della Danimarca, dove l’integrazione con gli immigrati musulmani è più avanzata. Tanto che il municipio aveva deciso di costruire una «super-moschea», oltre a quelle già esistenti. Ma nella saletta di quel «Consiglio della Sharia», la mini-telecamera di una tv locale ha catturato le parole dell’imam, le ha trasfuse in un paio di documentari con certe prediche registrate in una moschea integralista: minacciavano castighi alle donne «peccatrici». Morale: il sindaco ha comunicato che il municipio non sosterrà più il progetto della super-moschea e i musulmani moderati (la grande maggioranza) hanno fatto sciogliere il «Consiglio della Sharia» per «rispetto dei valori danesi». Ma intanto, l’integrazione è stata intaccata: e come in altri casi simili a far da esca è stato un muro di ostilità e pregiudizi eretto contro i diritti della donna. «Se una donna sposata o divorziata si dà alla fornicazione — predica l’imam Abu Bulal Ismal in uno dei documentari — deve essere lapidata fino alla morte. Se è vergine, il castigo per lei è la flagellazione » . Lo ascoltano donne e bambini seduti. «I figli picchiateli, dai 10 anni in poi, se non pregano», dice l’imam. Aarhus sarà nel 2017 la capitale europea della cultura: ma in quell’istante e in quel luogo, è Kandahar.