Sognando la Bibbia di Gutenberg
Bibliofilo appassionato, lo scrittore aveva raccolto una collezione di 50 mila volumi «portati con leggerezza» Temeva molto gli incendi e amava ritrovare le letture dell’infanzia: mandava ogni pagina a memoria
Chiose Diceva: «Se sul libro raro devo studiare, ardisco fare segni a matita in margine»
Follie di un bibliofilo. Che sognava un tunnel sotterraneo per collegare la sua casa milanese alla biblioteca Trivulziana «e consultare i testi di notte». Che temeva i ladri (ma di più il fuoco) e si presentava ad appuntamenti pubblici con la sua preziosa Hypnerotomachia Poliphili sottobraccio. Che amava la sua biblioteca, semiologica curiosa lunatica magica et pneumatica, e si divertiva a prendere in giro chi gli chiedeva: «Ma li hai letti tutti?». E Umberto Eco, perché di lui parliamo, appassionato studioso e collezionista, vorace frequentatore delle librerie antiquarie di mezzo mondo, rispondeva: «No, questi libri sono quelli che devo leggere la settimana prossima. Quelli che ho già letto sono in università».
Acquisti importanti. Ma anche occasioni a poco prezzo trovate sulle bancarelle, pezzi unici che solo un esperto — non solo un collezionista con buone disponibilità economiche — può scovare nelle sue scorribande tra le pagine. È nata così la mitica biblioteca di Eco, cinquantamila volumi, di cui milleduecento rari, un’assicurazione antincendio ( da bambino Eco abitava sotto l’appartamento del capitano dei pompieri di Alessandria: da qui, raccontava, il suo terrore del fuoco), il gusto di dedicarla al sapere «falso e occulto». Con alcuni esemplari mirabili, come lo stesso autore illustrava — ma chissà quali altri tesori possedeva — in Non sperate di liberarvi dei libri (Bompiani, 2011), dialogo con Jean-Claude Carrière sulla meraviglia della parola scritta. E allora ecco un vecchio Paracelso «di cui ogni pagina assomiglia a un merletto»; un incunabolo del Malleus Maleficarum, il famigerato manuale per gli inquisitori e i cacciatori di streghe; il «Polifilo» appunto, la Cronaca di Norimberga, l’Arbor vitae crucifixae di Ubertino da Casale (uno dei personaggi del Nome della rosa).
Domanda fondamentale: la tua casa va a fuoco, quali opere vorresti proteggere? Risposta di Eco: «Cercherei di salvare uno dei miei libri antichi, non necessariamente il più costoso, ma quello che amo di più. Forse prenderei la Peregrinatio in Terram Sanctam, di Bernhard von Breydenbach, Speri, Drach 1490, sublime per le sue incisioni su molti fogli ripiegati».
Passione pura. «Autentica», come la definisce Fabio Roversi Monaco, giurista ed ex rettore dell’Università di Bologna: «Aveva un talento straordinario: saper individuare in modo impareggiabile il valore e la qualità di un testo. Quelli nuovi soprattutto. Inoltre — e ce lo dimostrò in ateneo — dimostrava un modo saggio di concepire la disposizione dei volumi negli scaffali». I libri? «Caso unico, li leggeva davvero tutti. E, con strumenti inspiegabili, come guardava una pagina la mandava a memoria». Un sorriso. «Nelle sfide su Salgari e sui fumetti vinceva sempre lui».
Onnivoro nella lettura, selettivo nel collezionare. Eco, ricercatore instancabile. Il suo rammarico era noto: non riuscire a trovare un esemplare dell’Ars magnesia di Athanasius Kircher. «Sono pronto a pagare una fortuna», disse una volta. «Ma per scovare quel testo ci vorranno altri cento anni di ricerche», ammette Sergio Malavasi della storica libreria milanese Malavasi. E racconta: «Era un piacere sentirlo parlare, spesso ne sapeva di più del libraio». Le storie di Milano? «Quelle importanti le aveva tutte». Qualche pezzo speciale? «Gli vendemmo la prima edizione dei Tre moschettieri, rarissima, amava molto ritrovare le letture dell’infanzia». Ricordava tutti i libri che possedeva? «Sì, anche se di alcuni aveva tre o quattro copie». Approccio con l’acquisto? «Era una persona che di fronte all’oggettiva qualità del volume non questionava mai sul prezzo». E quando adocchiava un testo che riteneva prezioso, «gli brillavano gli occhi. Come un drogato — passatemi la similitudine — quando ha in mano la dose». Grazie alla sua competenza, riusciva a fare ottimi affari, come quando — spulciando un catalogo con mille titoli — conquistò a un’asta, per 150 euro, la Offenbarung göttlicher Mayestat di Aloysius Gutman.
Bibliofilo, non bibliomane. Una differenza che Eco stesso sottolineò in La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia (Bompiani, 2009/2011): «Ogni collezionista ha un sogno ricorrente. Trovare una novantenne che ha in casa un libro che cerca di vendere, senza sapere di che si tratti, contare le linee, vedere che sono 42 e scoprire che è una Bibbia di Gutenberg, offrirle 100 mila euro e mettersi in casa un tesoro. Dopo di che, cosa accadrebbe? Un bibliomane terrebbe la copia per sé, guai a mostrarla perché solo a parlarne si mobiliterebbero i ladri di mezzo mondo. Un bibliofilo, invece, vorrebbe che tutti vedessero questa meraviglia. Ma che piacere sarebbe quello di possedere l’oggetto più raro del mondo senza potersi alzare alle tre di notte e andarlo a sfogliare? Ecco il dramma: avere la Bibbia di Gutenberg sarebbe come non averla. E allora perché sognare quella utopica vecchietta? Ebbene, il bibliofilo la sogna sempre, come se fosse un bibliomane». Ammissione: «Se sul libro raro devo studiare, ardisco fare segni a matita in margine, abbastanza leggeri che un giorno si possano cancellare con una gomma, e questo mi aiuta a sentire il libro come cosa mia. Sono pertanto un bibliofilo, non un bibliomane». Con uno strepitoso senso dell’umorismo: «Quando mi si chiede se ho letto qualche cosa, io rispondo: “Ma sa, io non leggo, scrivo”». Alessandro Danovi, segretario dell’Aldus club, l’associazione internazionale di bibliofilia di cui Eco era presidente, confessa: «Nel 2008 andammo in visita alla biblioteca del Quirinale. Al presidente Napolitano Eco disse: “Mi sento come D’Artagnan quando presenta al conte di Guisa i cadetti di Guascogna”». Facezie di un erudito: «Non voleva — continua Danovi — leggere i verbali dell’associazione, si portava spesso in giro il suo “Polifilo” e sognava di scavare un passaggio segreto sotto il Castello per raggiungere la Trivulziana. Come Aldus gli dedicheremo il prossimo restauro di un libro della Braidense».
Cinquantamila volumi «portati» con leggerezza. Con la meraviglia del bambino, l’accanimento del bibliomane, la curiosità del filosofo. Con un desiderio: «La mia famiglia potrà donare o vendere la mia collezione, ma non vorrei che venisse dispersa». E una convinzione: «La biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te».