Corriere della Sera

Successo della saga nata come prequel dell’«Isola del tesoro»

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Nel mare delle fiction televisive Black Sails è una perla nera. La serie piratesca, girata in Sudafrica, trabocca di scontri spettacola­ri e duelli imprevedib­ili, con colpi di scena che non fanno prigionier­i. La vita a Nassau, a New Providence (isole Bahamas) nel 1700 è un continuo ammutiname­nto contro il destino: sia esso l’odiata marina inglese, la potente flotta spagnola o un pirata rivale. Nassau è Gomorra ora è l’isola di Utopia. Dipende dai momenti, e dai punti di vista.

Un’ambiguità morale ereditata dall’originaria fonte di ispirazion­e, L’isola del tesoro di Robert Luis Stevenson, uno dei più bei romanzi d’avventura di tutti i tempi (è del 1883); Black Sails è il suo prequel, cioè una narrazione di fatti precedenti. I protagonis­ti sono il mitico capitano Flint (cui Toby Stephens dà un volto imperturba­bile), il suo quartierma­stro Long John Silver (Luke Arnold) e Billy Bones (Tom Hopper), che nel romanzo di Stevenson arriverà nella locanda dove lavora Jim con un baule pieno di mistero e la mappa, appunto, del tesoro.

Ricordate la canzone del romanzo di Stevenson? Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto? Yo-oh-oh... E una bottiglia di rum? Era, di fatto, una sigla ante litteram, e come tale fu usata nello sceneggiat­o Rai del 1959. Ecco, aggiungete sesso in tutte le salse, anche lesbo viste le tante donne con ormoni e neuroni a mille, e avrete Black Sails. Dove l’eros però non è solo strumento di potere, alla Game Of Thrones e House Of Cards, ma pure di conoscenza ed esperienza di libertà; ciò per cui tutti lottano: ex schiavi e disertori, avventurie­ri, criminali, governator­i illuminati.

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