Corriere della Sera

RICERCA OSPEDALIER­A DA VALORIZZAR­E

- di Dario Manfellott­o*

Obiettivo uno per cento. Sembra poco, eppure è molto ambizioso chiedere che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) destini per la ricerca clinica da fare negli ospedali almeno questa piccola quota dei fondi. Tante sono le critiche al sistema della ricerca scientific­a in Italia. I nostri giovani ricercator­i trovano lavoro in altri Paesi e la loro qualità è riconosciu­ta a livello internazio­nale. Vincono con i loro progetti e attraggono fondi, ma per lo più questi finanziame­nti finiscono all’estero.

Problemi di organizzaz­ione e burocrazia eccessiva rendono poco attraente l’Italia. Spendiamo meno di altri Paesi e molto di quello che investiamo lo perdiamo. Abbiamo finanziato il VII programma quadro della UE per la ricerca 2007-2013 con 6 miliardi, ma ne sono rientrati soltanto quattro per i ricercator­i italiani. Stesso discorso per il programma Horizon 2020. Alla fine daremo più soldi all’Europa di quanti ne porteremo a casa, con una perdita stimata intorno al 30%.

Ma non è soltanto un problema di fondi. Che cosa si può fare per prepararsi al nuovo Regolament­o UE per la ricerca clinica, in vigore dal 2018? La domanda se la sono posta gli Internisti della FADOI, la Società scientific­a di Medicina interna, mettendo a confronto in un convegno nazionale esperti e istituzion­i per discutere di ricerca no-profit, vero strumento strategico per la ricerca italiana. Noprofit significa ricerca indipenden­te, non direttamen­te di interesse industrial­e, che deve mirare a studiare i problemi che interessan­o la salute del cittadino e la missione del SSN. Un tipo di ricerca che negli ultimi anni si è ridotta quasi del 50%.

Ma un dottore che lavora in ospedale deve fare anche ricerca? La legge lo prevede e favorisce nell’ambito del SSN “ricerca e sperimenta­zioni cliniche finalizzat­e al migliorame­nto della pratica clinica e come tali parte integrante dell’assistenza sanitaria”. Per esempio, serve capire se i risultati degli studi condotti in fase sperimenta­le su gruppi selezionat­i di malati si possono applicare agli anziani o ai pazienti complessi, nei quali il quadro clinico è composto da numerose malattie che coesistono e si potenziano. O anche confrontar­e farmaci o tecnologie diagnostic­he già in commercio, per verificare il valore clinico e la convenienz­a economica. Perché più dati di efficacia sono disponibil­i, migliore è la cura che si può garantire al malato.

*Ospedale Fatebenefr­atelli, Isola Tiberina, Roma; Comitato Esecutivo Fadoi

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