RICERCA OSPEDALIERA DA VALORIZZARE
Obiettivo uno per cento. Sembra poco, eppure è molto ambizioso chiedere che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) destini per la ricerca clinica da fare negli ospedali almeno questa piccola quota dei fondi. Tante sono le critiche al sistema della ricerca scientifica in Italia. I nostri giovani ricercatori trovano lavoro in altri Paesi e la loro qualità è riconosciuta a livello internazionale. Vincono con i loro progetti e attraggono fondi, ma per lo più questi finanziamenti finiscono all’estero.
Problemi di organizzazione e burocrazia eccessiva rendono poco attraente l’Italia. Spendiamo meno di altri Paesi e molto di quello che investiamo lo perdiamo. Abbiamo finanziato il VII programma quadro della UE per la ricerca 2007-2013 con 6 miliardi, ma ne sono rientrati soltanto quattro per i ricercatori italiani. Stesso discorso per il programma Horizon 2020. Alla fine daremo più soldi all’Europa di quanti ne porteremo a casa, con una perdita stimata intorno al 30%.
Ma non è soltanto un problema di fondi. Che cosa si può fare per prepararsi al nuovo Regolamento UE per la ricerca clinica, in vigore dal 2018? La domanda se la sono posta gli Internisti della FADOI, la Società scientifica di Medicina interna, mettendo a confronto in un convegno nazionale esperti e istituzioni per discutere di ricerca no-profit, vero strumento strategico per la ricerca italiana. Noprofit significa ricerca indipendente, non direttamente di interesse industriale, che deve mirare a studiare i problemi che interessano la salute del cittadino e la missione del SSN. Un tipo di ricerca che negli ultimi anni si è ridotta quasi del 50%.
Ma un dottore che lavora in ospedale deve fare anche ricerca? La legge lo prevede e favorisce nell’ambito del SSN “ricerca e sperimentazioni cliniche finalizzate al miglioramento della pratica clinica e come tali parte integrante dell’assistenza sanitaria”. Per esempio, serve capire se i risultati degli studi condotti in fase sperimentale su gruppi selezionati di malati si possono applicare agli anziani o ai pazienti complessi, nei quali il quadro clinico è composto da numerose malattie che coesistono e si potenziano. O anche confrontare farmaci o tecnologie diagnostiche già in commercio, per verificare il valore clinico e la convenienza economica. Perché più dati di efficacia sono disponibili, migliore è la cura che si può garantire al malato.
*Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma; Comitato Esecutivo Fadoi