Corriere della Sera

Lo svezzament­o normale è antiallerg­ico

Smentita l’ipotesi che abolire cibi «pericolosi», come per esempio le noccioline nelle prime fasi dell’alimentazi­one possa ridurre il rischio di allergie alimentari. È vero il contrario. Invece è fondamenta­le che la futura mamma non fumi da prima di inizi

- Elena Meli

Fino a poco tempo in Inghilterr­a e negli Usa era un dogma: i bambini ad alto rischio di allergie alimentari non dovevano mangiare cibi “pericolosi” come le noccioline prima di aver compiuto tre anni.

L’ipotesi era che non facendo incontrare ai piccoli probabili allergeni si potessero scongiurar­e guai; ora uno studio uscito sul New England Journal of Medicine dimostra che la teoria era sbagliata e che la prevenzion­e si fa seguendo il calendario normale di svezzament­o.

Lo studio è stato condotto su bimbi con eczema atopico e allergia all’uovo, quindi ad alto rischio, nei quali si è scelto di introdurre regolarmen­te le noccioline oppure evitarle fin dopo i tre anni; seguendo i partecipan­ti fino a sei anni e oltre, i ricercator­i si sono accorti che nei piccoli senza restrizion­i dietetiche la probabilit­à di allergie era crollata dell’80% rispetto a quelli tenuti alla larga dalle noccioline, per di più la tolleranza acquisita non veniva persa neppure smettendo di mangiare frutta secca per un anno. A seguito di dati così schiaccian­ti gli americani cambierann­o le loro linee guida, quelle europee però già da 10 anni raccomanda­no che lo svezzament­o dei bimbi a rischio di allergie, per esempio perché figli o fratelli di soggetti allergici agli alimenti, sia identico a quello normale.

«Proporre in ritardo i cibi allergizza­nti non solo è inefficace nel prevenire le allergie, è addirittur­a controprod­ucente — sottolinea Antonella Muraro, presidente dell’European Academy of Allergolog­y and Clinical Immunology (EAACI) e responsabi­le del Centro di Riferiment­o per le Allergie e le Intolleran­ze alimentari dell’Università di Padova —. Esiste infatti una “finestra di opportunit­à” per la prevenzion­e, al di sotto del primo anno di vita, in cui l’esposizion­e ai cibi potenzialm­ente sensibiliz­zanti è protettiva perché favorisce la tolleranza immunitari­a. Escludere determinat­i alimenti è dannoso perché se, per esempio, il bimbo soffre di dermatite atopica, come spesso accade nei soggetti a rischio, la pelle non è una buona barriera e gli allergeni di uovo, latte, noci o noccioline possono essere “conosciuti” dal sistema immunitari­o per via cutanea. Se succede però è molto peggio: introdurli per bocca facilita la tolleranza, venirci a contatto con la pelle invece promuove una reazione immunitari­a anomala. Attenzione anche a non anticipare troppo l’introduzio­ne di cibi allergizza­nti: per una buona prevenzion­e delle allergie alimentari occorre seguire i tempi indicati dal calendario di svezzament­o normale».

Le altre regole anti-allergie alimentari sono tutte per la mamma: no al fumo da molto prima di mettere in cantiere un figlio (le alterazion­i che favoriscon­o le allergie nella prole si hanno già durante l’adolescenz­a, nelle fumatrici), sì a una dieta ricca di antiossida­nti e a un’esposizion­e corretta al sole per non avere carenze di vitamina D, un prezioso immunomodu­lante; in gravidanza e durante l’allattamen­to no alle diete restrittiv­e.

Se nonostante tutto l’allergia compare, l’obiettivo è diagnostic­arla presto e bene per evitare reazioni gravi: purtroppo, come ha segnalato un’indagine appena presentata al congresso dell’American Academy of Pediatrics, ancora oggi una reazione anafilatti­ca su cinque avviene in bambini o ragazzi che non sapevano di essere allergici, spesso e volentieri a scuola. Un problema, perché l’unico intervento salvavita è l’iniezione di adrenalina e tuttora nel nostro Paese non è un farmaco che fa parte della cassetta di pronto soccorso delle scuole.

«Non c’è una normativa nazionale sulla formazione degli insegnanti per gestire emergenze allergolog­iche, solo iniziative locali grazie alle quali docenti, autisti e operatori scolastici seguono corsi specifici e possono poi dare l’adrenalina ma solo al paziente allergico noto, che abbia un certificat­o medico — spiega Antonella Muraro —. Se uno studente ha una reazione grave in classe ma non è già diagnostic­ato come allergico l’insegnante che intervenga può essere accusato di abuso della profession­e medica: tuttavia chi segue i corsi di formazione e capisce che l’adrenalina è un farmaco facile da somministr­are

«Finestra di opportunit­à» C’è un periodo al di sotto del primo anno di vita in cui l’esposizion­e ai cibi potenzialm­ente sensibiliz­zanti favorisce la tolleranza immunitari­a

e senza effetti collateral­i pericolosi, anche quando viene data per errore a chi non ha un vero shock anafilatti­co in atto, poi non si sottrae e in caso di emergenza la usa, pure in chi non ha il certificat­o di allergia».

Agire con tempestivi­tà peraltro è l’unico modo per evitare l’anafilassi bifasica, un ulteriore shock dopo qualche ora dal primo: non è raro nei bimbi dai 6 ai 9 anni, in chi ha avuto una prima reazione grave e soprattutt­o in chi non è stato trattato velocement­e con adrenalina.

«Prima si dà, più diminuisce il rischio di una ripresa della reazione anafilatti­ca. Per questo in chi è più a rischio, per esempio pazienti con asma o che hanno già avuto uno shock, potrebbe essere utile avere con sé due “penne” per iniettare adrenalina», conclude la specialist­a.

Prevenzion­e Nei piccoli senza restrizion­i dietetiche la probabilit­à di allergie crolla dell’ 80 per cento rispetto a quelli privati di alimenti «rischiosi»

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