Secondo l’Istituto Superiore di Sanità i rischi per la salute con l’olio di palma dipendono in realtà dalla quantità
è chi lo considera l’ingrediente più pericoloso sulle nostre tavole e chi ne ridimensiona i possibili effetti negativi, chi lo vede come il fumo negli occhi e chi pensa che non sia diverso da altri tipi di grassi: sull’olio di palma ci sono due agguerrite fazioni contrapposte, chi ha ragione?
Per fare chiarezza, su richiesta del Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) si è espresso con un parere sulle conseguenze per la salute dell’olio di palma: un documento che sottolinea come questo olio di per sé non possa definirsi “tossico”, ma tutto dipenda da quanto se ne consuma. «La criticità deriva dal contenuto di grassi saturi, pari a circa il 50% del totale e più alta rispetto a quello di altri oli vegetali a uso alimentare: un eccesso del consumo di grassi saturi, che si trovano anche in carne, formaggi, latte e uova, è infatti associato a un maggior
rischio cardiovascolare — spiega Marco Silano, uno degli autori del documento —. L’olio di palma perciò non è rischioso di per sé, lo diventa quando se ne introduce troppo; essendo presente in molti prodotti alimentari industriali dei quali si fa largo consumo ( cracker, biscotti, cibi pronti, merendine, ndr), la probabilità di eccedere con le quantità può essere reale».
Per capire l’impatto dell’olio di palma sulla dieta degli italiani, i ricercatori hanno misurato l’introito di grassi saturi contenuti naturalmente nei cibi e quelli dell’olio in questione aggiunto ai prodotti dall’industria alimentare. «Abbiamo usato gli unici dati di consumo degli alimenti validati scientificamente e suddivisi per fasce d’età, raccolti 10 anni fa dall’Inran (oggi Crea), stimando così la frequenza di uso dei prodotti contenenti olio di palma; quindi, abbiamo aggiornato il dato valutando le etichette attuali per i contenuti di grassi saturi — dice Silano —. La situazione è certo cambiata in 10 anni, ma per stimare il consumo di olio di palma non potevamo utilizzare fonti incerte come i dati di importazione, perché non sappiamo poi quanti prodotti finiti vengano esportati e quindi non siano consumati in Italia, o quelli sulle vendite al dettaglio. I dati di natura commerciale non ci dicono chi mangia davvero quei prodotti in famiglia, quante volte, in quanto tempo». L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che l’assunzione di grassi saturi di qualunque natura non superi il 10% delle calorie giornaliere. «Le nostre stime indicano che nei bimbi italiani questa percentuale va dall’11 al 18%, negli adulti si attesta attorno all’11% — sottolinea l’esperto —. Ciò significa che nei bambini dovremmo fare più attenzione e contenere i consumi di grassi saturi in generale. Le stime dell’Iss rilevano inoltre che nei bambini dai 3 ai 10 anni circa il 70% dei grassi saturi deriva dal consumo di alimenti quali carne, latte, latticini e uova, il rimanente 30% da snack, biscotti, gelati e cioccolato, onnipresenti nella dieta dei più piccoli. Riguardo l’olio di palma in particolare, non esiste una specifica ragione di salute per evitarne il consumo; tuttavia bisogna mantenere l’assunzione di acidi grassi saturi entro i limiti raccomandati garantendo allo stesso tempo un adeguato apporto di alimenti contenenti acidi grassi mono e polinsaturi (come olio di oliva e pesce). Perciò è bene moderare il consumo dei prodotti che contengono alte percentuali di grassi saturi e sono assunti con maggiore frequenza, il tutto nell’ambito di stili di vita sani e di una dieta varia ed equilibrata che comprenda anche alimenti naturalmente apportatori di grassi saturi». Insomma, un biscotto con olio di palma non uccide nessuno. Certo non si deve esagerare. «Oltre ai bimbi, altre categorie che dovrebbero prestare particolare attenzione all’introito di grassi saturi sono gli adulti obesi, ipertesi, con dislipidemie o che abbiano già sofferto di patologie cardiovascolari», conclude Silano, che dichiara di non aver alcun conflitto di interessi sull’argomento.