Corriere della Sera

UN ITALIANO DI CARATTERE

L’appuntamen­to Bibliofilo, imprendito­re, uomo di relazioni: una mostra a Venezia celebra l’editore che 500 anni fa con il suo spirito innovativo ha sancito una volta per tutte il nostro modo di leggere

- di Pierluigi Panza

ALDO MANUZIO, L’INVENTORE DEL LIBRO

COME UNO STEVE JOBS DEL RINASCIMEN­TO

Qualsiasi opera o personaggi­o del passato entrato nel canone della tradizione furono in realtà rivoluzion­ari. Dire che Aldo Manuzio (1449-1515) fu «uno Steve Jobs del Rinascimen­to veneziano», come suggerito da Guido Beltramini, curatore della mostra «Aldo Manuzio. Il Rinascimen­to a Venezia» alle Gallerie dell’Accademia, non è lontano dal vero. Il più noto dei nostri stampatori, del quale sono appena trascorsi i 500 anni dalla morte, sfruttò l’opportunit­à introdotta dalla stampa a caratteri mobili inventata da Gutemberg per rivoluzion­are l’approccio all’universo culturale, sottraendo­lo a chierici e accademici e liberandol­o nei circuiti che la Serenissim­a metteva a disposizio­ne.

Manuzio – di cui sono in mostra una decina di rare edizioni «aldine» provenient­i da Cambridge, Eaton, Manchester, dalla British Library e dalla Vaticana – fu l’ «inventore» del libro e del pubblico del libro. O, almeno, il primo che provò a costruirlo.

Anzitutto, con lui, realizzare un libro divenne un’arte. Il taglio della carta seguì schemi geometrici che si rifacevano anche agli studi di Luca Pacioli e alle teorie della sezione aurea: in mostra vi è, tra l’altro, l’unica edizione aldina la cui carta non è stata tagliata (dalla Morgan Library). Manuzio diede vita a una sorta di cultura d’impresa: realizzò sia edizioni che volevano essere, nelle dimensioni, user-friendly, cioè stampate in ottavi e in corsivo come il Virgilio del 1501, il primo «tascabile» (prima, il libro, era costituito da grandi fogli che venivano girati su un leggio), sia edizioni in carta azzurrata vendute ad alto prezzo. Inventò il carattere corsivo e, nel «De Aetna» di Pietro Bembo propose uno dei più eleganti caratteri romani, inciso da Francesco Griffo, al quale si ispirarono in molti, sino a Claude Garamond nel XVI secolo.

Con lui il libro incominciò ad essere distribuit­o e a viaggiare grazie alla potente rete commercial­e della Serenissim­a raggiungen­do anche il mondo protestant­e. Erasmo da Rotterdam scelse di pubblicare con Manuzio (pubblicò gli «Adagia» e visse presso di lui a Venezia) perché, con lui, i libri avevano maggiore circolazio­ne. Fu così che, per sinergia si direbbe oggi, Erasmo divenne un «testimonia­l internazio­nale» delle edizioni aldine, stampate a due passi dalla Biblioteca Marciana che, dal 1453, anno della caduta di Costantino­poli, divenne deposito dei più importanti codici portati dall’Oriente (come la grammatica greca del Lascaris) dal cardinal Bessarione e altri sapienti in fuga.

In quel crogiolo di cultura greca, latina, bizantina che divenne Venezia, una città di 150 mila abitanti (tre volte gli attuali, per intendersi) Manuzio mischiò cultura cristiana e pagana servendosi delle immagini, miniando pagine con nuove iconografi­e riemerse dal passato, e realizzand­o il primo vero libro ad immagini( perlopiù ermetiche ealleg ori che):l’ «Hypn eroto mach iaPoliph ili» di Francesco Colonna, frutto proibito di ogni bibliofilo. Co meloe ra Umberto Eco,l acui protagonis­ta del romanzo« La misteriosa fiamma della regina Lo ana»discuteu natesi di laurea proprio sull’ «Hypn eroto mach i a », libro ermetico che ha offerto spunti anche aDumas,Pe re z-Re verte eR oman Polanski. Stampò classici (Omero, Sofocle, Ovidio, Properzio), il «De Architectu­ra» di Vitruvio (in mostra anche un testo di Domenico Bartoli con annotazion­i a mano di Leon Battista Alberti) e si inventò dei classici. Stampò 1700 pagine del greco Aristotele (in mostra la rara edizione dell’Escorial del 1496) ma inventò dei «classici contempora­nei», bestseller come gli «Asolani» di Pietro Bembo e l’«Arcadia» di Sannazaro, ma anche Dante e Petrarca. La cultura, anche figurativa, fu rivoluzion­ata da questo impatto. I libri incomincia­rono a diventare protagonis­ti anche dei quadri, come nelle tele di Tiziano, Parmigiani­no, e rinnovaron­o gli atteggiame­nti di un pubblico colto, che si riflette nelle allegorie di Bellini e Lotto, negli ermetismi di Giorgione, nel recupero del classico («Endimione dormiente») di Cima da Conegliano. La poesia idilliaca greca che Manuzio stampava favorì una presa di coscienza sull’importanza del paesaggio, che entrò così nella storia della pittura veneziana. A rappresent­are questo aspetto sono in mostra nei restaurati spazi del piano terra delle Gallerie dell’Accademia, i «paesaggi» di Giorgione, di Giovanni Agostino da Lodi, del giovane Tiziano e le miniature di Giulio Campagnola e i bronzetti di Andrea Briosco. Mentre le campagne sono devastate dai passaggi delle truppe imperiali, nell’arte e nelle lettere si popolano di ninfe, satiri, della riscoperta di Orfeo e di tutto quanto ispirato a «Bucoliche» e «Georgiche» del mantovano Virgilio. Una parabola straordina­ria, quella di Manuzio, durata un ventennio, tra la peste del 1498, un arresto nel 1506, una nuova impresa con il figlio del doge non andata a buon fine, eredi che non ne replicaron­o il successo. Un ventennio durante il quale - questo il senso dell’esposizion­e sostenuta da un comitato presieduto da Cesare de Michelis della Marsilio (che ha anche prodotto il catalogo) - l’attività di Manuzio (nato presso Sermoneta, in Lazio) contribuì a trasformar­e Venezia da unica e ultima città «gotica» galleggian­te a una repubblica moderna,

di cittadini.

Brani da La voce dell’editore in Aldo Manuzio (ed. Marsilio) Perciò, lettore carissimo, sii clemente quando trovi qualche sbaglio, e cerca di giudicare con serenità queste fatiche

Pare a me che Lucrezio e pensatori simili a lui debbano essere bensì letti, ma come autori falsi e menzogneri quali in effetto essi sono

Accogliete questo libretto: non però gratis Datemi del denaro, affinché da parte mia io possa procurarvi tutti i migliori testi della grecità

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