LA REGINA ELISABETTA E GLI HACKER PATRIOTTICI
Gli Stati Uniti devono iniziare a considerare gli hacker non più solo come criminali ma come potenziali difensori della patria. La tesi è del Wall Street Journal: paradossale, ma sorretta da ragioni tecniche e filologicamente suggestiva. Per il Wsj gli hacker sono fondamentali alleati per la cybersicurezza perché hanno competenze che spesso mancano a chi esce dalle università ma sono necessarie per tenere al sicuro la nazione (da rivali economici, terroristi, hacker malintenzionati...). Così, oltre ad aumentare gli stanziamenti per la cybersicurezza, bisogna cambiare il giudizio sugli hacker: basta demonizzarli, meglio cooptarli, in attesa di colmare il gap con loro. La proposta ricorda quello che fece alla fine del 1500 la Corona inglese, che si alleò con i fuorilegge del mare per sconfiggere la flotta spagnola, in uno scontro commerciale, di intelligence e militare. Le nozze tra i pirati del 1600 e la Corona, che forniva ai capitani i «fogli di corsa» e con questi «corsari» divideva bottini e informazioni, furono volute da Elisabetta di Tudor e contratte con Francis Drake, che da pirata diventò corsaro, esploratore, poi politico e persino sir. Era l’epoca d’oro della pirateria, un mix di terrore e utopia, avidità e libertà dalle strutture di potere del vecchio mondo, con cui scendere a patti, nel caso. Oggi i tempi sorridono alla pirateria informatica: nel mare del web i nuovi continenti (le piattaforme digitali) offrono grandi ricchezze (informazioni), che vengono movimentate scatenando gli appetiti collettivi (gli imperi che vogliono espandersi, attaccare e difendersi) e individuali (i pirati). La cultura hacker può portare una grande apertura nella nostra, controllatissima, civiltà digitale. Ma fino a che punto uno Stato si può fidare di loro? Il Wsj per ora non ha dubbi: il prossimo coinquilino della Casa Bianca deve ispirarsi alla lezione di Elisabetta.