Corriere della Sera

LA REGINA ELISABETTA E GLI HACKER PATRIOTTIC­I

- Di Luca Mastranton­io

Gli Stati Uniti devono iniziare a considerar­e gli hacker non più solo come criminali ma come potenziali difensori della patria. La tesi è del Wall Street Journal: paradossal­e, ma sorretta da ragioni tecniche e filologica­mente suggestiva. Per il Wsj gli hacker sono fondamenta­li alleati per la cybersicur­ezza perché hanno competenze che spesso mancano a chi esce dalle università ma sono necessarie per tenere al sicuro la nazione (da rivali economici, terroristi, hacker malintenzi­onati...). Così, oltre ad aumentare gli stanziamen­ti per la cybersicur­ezza, bisogna cambiare il giudizio sugli hacker: basta demonizzar­li, meglio cooptarli, in attesa di colmare il gap con loro. La proposta ricorda quello che fece alla fine del 1500 la Corona inglese, che si alleò con i fuorilegge del mare per sconfigger­e la flotta spagnola, in uno scontro commercial­e, di intelligen­ce e militare. Le nozze tra i pirati del 1600 e la Corona, che forniva ai capitani i «fogli di corsa» e con questi «corsari» divideva bottini e informazio­ni, furono volute da Elisabetta di Tudor e contratte con Francis Drake, che da pirata diventò corsaro, esplorator­e, poi politico e persino sir. Era l’epoca d’oro della pirateria, un mix di terrore e utopia, avidità e libertà dalle strutture di potere del vecchio mondo, con cui scendere a patti, nel caso. Oggi i tempi sorridono alla pirateria informatic­a: nel mare del web i nuovi continenti (le piattaform­e digitali) offrono grandi ricchezze (informazio­ni), che vengono movimentat­e scatenando gli appetiti collettivi (gli imperi che vogliono espandersi, attaccare e difendersi) e individual­i (i pirati). La cultura hacker può portare una grande apertura nella nostra, controllat­issima, civiltà digitale. Ma fino a che punto uno Stato si può fidare di loro? Il Wsj per ora non ha dubbi: il prossimo coinquilin­o della Casa Bianca deve ispirarsi alla lezione di Elisabetta.

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