Bova: una fiction per raccontare il valore dei nostri soldati
ROMA Afghanistan. Il capitano Enea De Santis guida un distaccamento incursori del 9° reggimento d’assalto paracadutisti dell’Esercito italiano. Un eroe duro e puro che deve vedersela con i talebani, la guerra al terrorismo, ma anche con il mistero che avvolge la scomparsa del proprio padre medico, fondatore di Recovery, organizzazione no profit che aiuta la popolazione afghana.
Raoul Bova imbraccia il fucile, ma soprattutto per difendere i deboli, in «Fuoco amico - Eroe per amore», nuova serie in 8 puntate in onda da stasera su Canale 5, prodotta da Rti e RB Produzioni con la regia di Beniamino Catena. Nell’intricata vicenda, infatti, il protagonista incontra e si innamora di una ragazza afghana, Samira (Megan Montaner). Nel cast anche Romina Mondello, con la partecipazione di Luigi Diberti e Ugo Pagliai.
«A Mediaset erano un po’ scettici — avverte Bova, stavolta anche coproduttore della fiction —. Dicevano che forse costava un po’ troppo e che solo gli americani potevano permettersi una serie simile. Poi abbiamo cercato un sostegno e alla fine abbiamo detto: siamo italiani e cerchiamo di farcela. Ci siamo riusciti».
Una spy story che si inoltra anche nel terreno minato dei servizi segreti. «Parliamo di armi batteriologiche — continua l’attore — e di cavie umane utilizzate nelle sperimentazioni per i vaccini. Proprio perché non sopportiamo più di non sapere chi decide per noi e per le nostre vite, abbiamo provato a chiederci chi sta dietro al terrorismo o agli interessi economici di chi lucra sulla salute della gente. Il personaggio di Enea è come quello di Ultimo: non smette mai di lottare e rischia la vita perché non sa più di chi può fidarsi, né chi sia suo amico e chi no».
La serie è stata girata tra Roma, Marocco, Malta e Sardegna: «Ciò che raccontiamo — conclude — è l’ingiustizia di persone corrotte in ambiti diversi che usano vite umane. Credo sia giusto oggi dare un segnale ai giovani e raccontare che ci sono persone, come i nostri soldati, che lottano e sono disposte a rischiare la propria vita per noi».