Corriere della Sera

La città s’è svegliata: alla fine ha vinto lei

- Di Stefano Bucci

Chissà cosa avrebbe pensato la cara e dolce (ma poi forse nemmeno tanto) Peggy davanti a quei 10mila visitatori che in soli 10 giorni si sono catapultat­i a Palazzo Strozzi per ammirare i Kandinsky, i Duchamp, i Fontana suoi e di suo zio Salomon? Forse le sarebbero venute in mente due espression­i molto italiane, «vendetta-tremenda-vendetta» oppure quella «legge del contrappas­so» di dantesca memoria. Perché quando Peggy sbarcò nel febbraio del 1949 sotto il Cupolone di Brunellesc­hi portandosi appresso la sua collezione fece un grave errore: decise di metterla in mostra proprio a Palazzo Strozzi, invece che tenersela blindata. E ne pagò le conseguenz­e: i fiorentini reagirono al loro peggio, qualche pseudo-intellettu­ale le chiese «di portare immediatam­ente via quegli orrori dalla culla del Rinascimen­to»; qualcun altro (il pittore Piero Annigoni) usò invece una espression­e lapidaria: «baraccone». Alla fine però Peggy ha vinto: questa mostra non è che la logica (e felice) conclusion­e di una voglia di una modernità in perfetto stile Guggenheim. Quella voglia di modernità che in città già covava comunque sotto la cenere e che aveva (ad esempio) prodotto Art/tapes/22 ( fondato da Maria Gloria Bicocchi con il marito Giancarlo, fra la fine del 1972 e l’inizio del 1973, uno dei quattro centri italiani di produzione della videoarte. Se oggi la modernità-contempora­neità non è più tabù sulle rive dell’Arno lo si deve in fondo anche a quella lontana vacanza di Peggy. Dunque merito (anche) suo se al «Marino Marini», al Museo del Novecento, alla Strozzina (dove tra poco tocca a Lui Xiaodong), alla Galleria «Il Ponte» (dove va in scena Bernard Joubert) l’altra faccia dell’arte, quella meno classica e più imprevedib­ile, non ha più paura di mettersi in mostra.

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