Partiti, polemica sui Cinque Stelle: via l’obbligo di democrazia interna
L’emendamento M5S alla riforma in Senato. Il Pd: voi allergici, siete la Spectre
Via l’obbligo di democrazia interna per partiti e movimenti, chiede il Movimento 5 Stelle. «Siete allergici alla democrazia», risponde il Partito democratico. Sull’onda del caso Pizzarotti, si accende un duro scontro, proprio mentre la legge sui partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, arriva alla commissione Affari costituzionali della Camera.
Si voterà da oggi, con il presidente del Senato Pietro Grasso che invita a portare avanti la legge sui partiti «all’unisono» con le riforme costituzionali e elettorale. Ma è già guerra di emendamenti e di posizione. La scorsa settimana il relatore Matteo Richetti (Pd) ha predisposto un testo unificato delle diverse proposte di legge. Sono stati depositati 200 emendamenti. Durante la discussione, il M5S si è opposto all’obbligo di statuto previsto dalla proposta di legge ufficiale del Pd (a prima firma di Lorenzo Guerini), che esclude dalle elezioni i partiti privi di statuto. Il testo di Richetti non ha fatto propria la sanzione proposta da Guerini. Ma sancisce che la vita interna di partiti e movimenti sia «improntata al metodo democratico».
Il primo emendamento dei 5 Stelle, a prima firma Danilo Toninelli, sopprime il comma con l’obbligo di democrazia interna. Spiega il deputato: «Il metodo democratico interno è già previsto all’articolo 18 della Costituzione». Un secondo emendamento grillino sostituisce l’obbligo di democrazia interna dei partiti con l’obbligo di democrazia interna al sistema politico italiano.
Il testo di Richetti prevede più obblighi per i partiti che vogliono usufruire del due per mille e dei benefici fiscali, mentre per i movimenti che non vogliono ricorrervi — come M5S — gli oneri sono minori. Tuttavia anche per loro è obbligatorio avere un sito internet per la «trasparenza», in cui pubblicare le procedure e gli organi che assicurano la democrazia interna. Anche di questo comma, M5S chiede l’abrogazione, con un emendamento a prima firma di Federica Dieni.
Ci sono anche diversi emendamenti che impongono a partiti e movimenti di avere un organo disciplinare o di garanzia diverso dall’organo esecutivo. Questi emendamenti, chiamati «salva Pizzarotti», sono stati depositati da esponenti di Sel (Stefano Quaranta), Lega (Cristian Invernizzi) e dagli ex M5S Cristian Iannuzzi e Mara Mucci.
Il Pd attacca frontalmente, con David Ermini, responsabile giustizia: «Ci risiamo. Dopo il caso Pizzarotti, Grillo e Casaleggio junior stringono la morsa sul movimento per impedire la democrazia interna. Sono allergici». E con Andrea Romano: «Noi vogliamo più democrazia, M5s no. Chissà perché. #M5Spectre».
Intanto il sindaco di Parma vede respinta la sua richiesta di convocazione di una riunione con il direttorio o con il gruppo parlamentare. I 5 Stelle dicono no. Luigi Di Maio risponde a chi gli ricorda della email anonima inviata a Pizzarotti con richiesta di spiegazioni: «Arrivava dallo staff di Beppe Grillo, mica dello staff di Zorro». E ancora: «Chi non rispetta le regole è fuori». Pizzarotti replica: «Chi ha deciso che l’assemblea non è da farsi? Come al solito, non sono io che mi sottraggo al dialogo».