Corriere della Sera

Il ritorno della Clintonomi­cs

- Massimo Gaggi Corriere della Sera,

A corto di ossigeno in una campagna elettorale che vede Donald Trump sempre più protagonis­ta mentre lei arranca e, benché ormai certa della «nomination», continua a incassare sconfitte da Sanders, Hillary Clinton gioca la carta Bill: «Lo richiamerò dalla pensione, toccherà a lui rivitalizz­are l’economia americana, una cosa che ha dimostrato di saper fare molto bene».

L’America tornerà alla «Clintonomi­cs» degli anni 90? L’ipotesi è suggestiva, ma si scontra con una realtà che, da allora, è profondame­nte cambiata. Diverse sono le condizioni dell’economia americana e di quella internazio­nale che allora erano in piena espansione, mentre ora serve il sostegno continuo del «denaro facile» delle banche centrali per evitare recessioni e deflazione. E diverso è lo stato d’animo dell’opinione pubblica. Negli anni di Bill Clinton alla Casa Bianca, la fiducia nell’economia di mercato e nel liberismo economico era talmente alta che anche i democratic­i accettaron­o la filosofia della «deregulati­on» di Ronald Reagan: Bill continuò nel solco del presidente repubblica­no (e di Bush padre), cercando di tutelare un po’ di più i lavoratori, ma adottando liberalizz­azioni estreme in campo finanziari­o che resero possibili gli eccessi di Wall Street e la bolla dei mutui «subprime» che poi portarono al crollo della Lehman Brothers e alla grande crisi del 2008.

Oggi, davanti alla sortita della ex «first lady», i conservato­ri sghignazza­no e i loro analisti sono già all’attacco: «Bill richiamato da Hillary per ripetere il miracolo degli anni Novanta? Bè vediamo quali furono le sue politiche: oltre alla “deregulati­on” reaganiana, i trattati di libero scambio come il Nafta in Nord America, una riforma del “welfare” in chiave restrittiv­a e legata al lavoro effettivo e il bilancio federale in attivo. Tutte politiche valide dal punto di vista dei conservato­ri. Chissà se piaceranno anche ai democratic­i di oggi».

La risposta, ovviamente, è «no» visto, oltretutto, che l’impoverime­nto La campagna del 1992 Bill Clinton festeggia la sua vittoria nelle primarie democratic­he di New York nell’aprile 1992. Al suo fianco Hillary Clinton, la moglie e futura first lady del ceto medio ha spostato a sinistra l’asse della politica dei progressis­ti, con Hillary costretta a inseguire Bernie Sanders fino al punto di pronunciar­si anche lei contro i nuovi trattati commercial­i che Obama ha negoziato coi Paesi asiatici. I motivi della sortita della Clinton vanno cercati nei suoi problemi di comunicazi­one e di immagine più che nei programmi economici: nonostante Trump non piaccia, secondo i sondaggi, almeno al 60 per cento degli americani, nemmeno Hillary è molto amata. E lei, per di più, è costretta a rivendicar­e l’eredità politica del presidente democratic­o che l’ha preceduta, Barack Obama: così si prende anche i malumore di quel 65 per cento di cittadini convinti che gli Stati Uniti stiano andando nella direzione sbagliata.

In una campagna elettorale contano molto le percezioni epidermich­e, come ha dimostrato Trump con le sue affermazio­ni tanto generiche quanto efficaci per conquistar­e voti, anche quando palesement­e velleitari­e. Allora, perché non evocare i «favolosi» anni 90 quando i redditi di tutti (o quasi) crescevano mentre l’America, con l’Unione Sovietica appena andata in pezzi, regnava incontrast­ata nel mondo?

Il messaggio può essere seducente, ma gli strateghi della campagna democratic­a non ignorano di certo che Hillary nel 2008 è stata battuta dal desiderio di cambiament­o oltre che dallo sconosciut­o Obama e che la cosa potrebbe ripetersi, in modo diverso, quest’anno.

Dalla sua l’ex segretario di Stato ha soprattutt­o la competenza di governo. Ma proprio per questo il percorso che ha davanti è particolar­mente accidentat­o e muoversi con Bill non è necessaria­mente un vantaggio. Negli anni Novanta l’uomo di punta della Casa Bianca clintonian­a in economia fu Larry Summers. Bill si metterà di nuovo nelle sue mani? L’ex ministro del Tesoro, poi tornato alla Casa Bianca con Obama, oggi vede nero: l’economia americana e quella mondiale rischiano il naufragio per problemi struttural­i irrisolti. Se ne può venire (forse) fuori solo con politiche monetarie ancora più accomodant­i della Federal Reserve e con massicci piani d’investimen­to pubblico dei governi, simili allo «stimolo» fiscale da quasi 900 miliardi di dollari col quale Obama inaugurò la sua presidenza nel 2009. Ma, se dovesse adottare questa ricetta, Bill tradirebbe la «Clintonomi­cs» e ricadrebbe nella «Obamanomic­s».

Lo richiamerò dalla pensione, per rivitalizz­are l’economia

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