L’erede della dinastia milanese con la passione dell’industria e dei marchi del made in Italy
Ai quattro soci di Rcs MediaGroup coinvolti nel progetto Andrea Bonomi ha detto che intende impegnarsi per «almeno» dieci anni. Una dichiarazione che può forse sembrare peculiare pensando che la «sua» Investindustrial è una società di private equity. Però a giudicare dal «track record», la storia dei suoi investimenti, e dalla geografia del suo gruppo, diventa più facile pensare che in effetti si possa trattare di un passo compiuto con logica di lungo periodo. Perché Investindustrial, che fa capo alla holding di famiglia Bi-invest, ha l’aspetto di un «centauro». Con i suoi sei fondi, ai quali i Bonomi partecipano anche direttamente, ha raccolto oltre 5,6 miliardi attraverso sottoscrizioni che provengono da investitori privati, gruppi, fondi sovrani. Questo è l’aspetto finanziario che in genere si traduce in interventi mirati a garantire a chi affida i soldi guadagni corposi e al massimo nel mid-term.
Investindustrial ha però anche la natura di una holding industriale. Con l’annuncio relativo a Rcs, la società ha messo a punto in quattro mesi quattro operazioni: ha rilevato Valtur e Artsana-Chicco, e ha avviato un merger da 2 miliardi nella chimica fra l’italiana Polynt e la statunitense Reichhold. Con 13 aziende in portafoglio, 5 miliardi di fatturato, uno di margine lordo e 2,5 di cassa, la holding di Bonomi si presenta come una conglomerata industriale che ha la radice comune principalmente nel made in Italy, interventi in Spagna e un’«eccezione» inglese, l’Aston Martin, in portafoglio dal 2013, che come la Ducati (rilanciata e rivenduta ad Audi) rivela un aspetto del carattere di Andrea Bonomi: la passione per motori e sport.
Del resto fin da quando ha costituito Investindustrial (nel 1990 a Londra) ha sempre detto che «i fondi chiusi, le iniziative di private equity, saranno le holding del capitalismo globale: chi investe dev’essere pronto a non “uscire” per dieci anni». Così ha interpretato il ritorno della famiglia negli affari e in Italia. I Bonomi, milanesi, hanno cominciato alla fine dell’Ottocento con la compravendita immobiliare. Anna Bonomi Bolchini, nonna di Andrea, è stata la Signora della Borsa, la regina dei dané, ha fondato Postal Market, «costruito» il Pirellone, è stata protagonista delle grida insieme ad Aldo Ravelli, coltivando anche rapporti stretti con Michele Sindona e Roberto Calvi. Ha costruito un impero con banche ( Varesino), finanziarie (Invest), industrie (Mira Lanza e Saffa), assicurazioni (Milano, Italia, Fondiaria), aziende agricole (Sella & Mosca) fino al «salto» in Montedison. Poi però quando lui, Andrea, stava facendo i primi passi in Lazard a New York (dove è nato nel 1965), il padre Carlo lo ha richiamato a Milano: abbiamo un problema. Due mesi dopo, agosto 1985, Mario Schimberni ha soffiato loro la holding. E i Bonomi si sono ritirati a Londra e Madrid.
In Italia Andrea torna nei primi anni Novanta, «chiamato» da Alessandro Benetton. Poi prosegue da solo con Investindustrial. Il percorso è lungo. Segnato anche da sconfitte, come Club Med o il tentativo di «trasformare» la Popolare di Milano, respinto dai «grovigli» sindacali. Ma lui non si ferma. E ora il passo Rcs, dove è stato in consiglio per un anno, uscendo nell’aprile 2013. Come investitore è un debutto. Che sembra affrontare con il distacco anglosassone di chi al primo posto mette il piano industriale.