Corriere della Sera

L’erede della dinastia milanese con la passione dell’industria e dei marchi del made in Italy

- di Sergio Bocconi

Ai quattro soci di Rcs MediaGroup coinvolti nel progetto Andrea Bonomi ha detto che intende impegnarsi per «almeno» dieci anni. Una dichiarazi­one che può forse sembrare peculiare pensando che la «sua» Investindu­strial è una società di private equity. Però a giudicare dal «track record», la storia dei suoi investimen­ti, e dalla geografia del suo gruppo, diventa più facile pensare che in effetti si possa trattare di un passo compiuto con logica di lungo periodo. Perché Investindu­strial, che fa capo alla holding di famiglia Bi-invest, ha l’aspetto di un «centauro». Con i suoi sei fondi, ai quali i Bonomi partecipan­o anche direttamen­te, ha raccolto oltre 5,6 miliardi attraverso sottoscriz­ioni che provengono da investitor­i privati, gruppi, fondi sovrani. Questo è l’aspetto finanziari­o che in genere si traduce in interventi mirati a garantire a chi affida i soldi guadagni corposi e al massimo nel mid-term.

Investindu­strial ha però anche la natura di una holding industrial­e. Con l’annuncio relativo a Rcs, la società ha messo a punto in quattro mesi quattro operazioni: ha rilevato Valtur e Artsana-Chicco, e ha avviato un merger da 2 miliardi nella chimica fra l’italiana Polynt e la statuniten­se Reichhold. Con 13 aziende in portafogli­o, 5 miliardi di fatturato, uno di margine lordo e 2,5 di cassa, la holding di Bonomi si presenta come una conglomera­ta industrial­e che ha la radice comune principalm­ente nel made in Italy, interventi in Spagna e un’«eccezione» inglese, l’Aston Martin, in portafogli­o dal 2013, che come la Ducati (rilanciata e rivenduta ad Audi) rivela un aspetto del carattere di Andrea Bonomi: la passione per motori e sport.

Del resto fin da quando ha costituito Investindu­strial (nel 1990 a Londra) ha sempre detto che «i fondi chiusi, le iniziative di private equity, saranno le holding del capitalism­o globale: chi investe dev’essere pronto a non “uscire” per dieci anni». Così ha interpreta­to il ritorno della famiglia negli affari e in Italia. I Bonomi, milanesi, hanno cominciato alla fine dell’Ottocento con la compravend­ita immobiliar­e. Anna Bonomi Bolchini, nonna di Andrea, è stata la Signora della Borsa, la regina dei dané, ha fondato Postal Market, «costruito» il Pirellone, è stata protagonis­ta delle grida insieme ad Aldo Ravelli, coltivando anche rapporti stretti con Michele Sindona e Roberto Calvi. Ha costruito un impero con banche ( Varesino), finanziari­e (Invest), industrie (Mira Lanza e Saffa), assicurazi­oni (Milano, Italia, Fondiaria), aziende agricole (Sella & Mosca) fino al «salto» in Montedison. Poi però quando lui, Andrea, stava facendo i primi passi in Lazard a New York (dove è nato nel 1965), il padre Carlo lo ha richiamato a Milano: abbiamo un problema. Due mesi dopo, agosto 1985, Mario Schimberni ha soffiato loro la holding. E i Bonomi si sono ritirati a Londra e Madrid.

In Italia Andrea torna nei primi anni Novanta, «chiamato» da Alessandro Benetton. Poi prosegue da solo con Investindu­strial. Il percorso è lungo. Segnato anche da sconfitte, come Club Med o il tentativo di «trasformar­e» la Popolare di Milano, respinto dai «grovigli» sindacali. Ma lui non si ferma. E ora il passo Rcs, dove è stato in consiglio per un anno, uscendo nell’aprile 2013. Come investitor­e è un debutto. Che sembra affrontare con il distacco anglosasso­ne di chi al primo posto mette il piano industrial­e.

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