UNIONE CIVILE
Nel ddl Cirinnà approvato in via definitiva alla Camera l’«unione civile» tra persone dello stesso sesso viene istituita come «specifica formazione sociale». Per contrarla bisogna essere «due persone maggiorenni dello stesso sesso» e bisogna fare una dichiarazione pubblica davanti a un ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni. La dichiarazione viene registrata nell’archivio dello stato civile. Non possono contrarre unioni civili: le persone già sposate, interdette per infermità mentale, parenti tra loro, condannate in via definitiva per l’omicidio o il tentato omicidio di un precedente coniuge non previsto della legge — conferma Angelo Schillaci, costituzionalista e ricercatore all’Università La Sapienza di Roma —. Sarebbe quello che in termini tecnici si chiama “eccesso di delega” e i decreti attuativi diventerebbero così incostituzionali. Anche se si decidesse di inserire l’obiezione di coscienza in quella sede, di fronte al primo sindaco che si rifiutasse di celebrare le unioni civili, i cittadini potrebbero rivolgersi a un giudice perché sollevi la questione di costituzionalità di fronte alla Consulta». L’obiezione di coscienza, infatti, può essere regolata soltanto da una apposita legge.
L’esempio della 194
In Italia è successo solo in due casi: per il servizio militare quando ancora esisteva la leva obbligatoria e per i ginecologi che non vogliano praticare aborti.
Nel 1978, con l’approvazione della legge 194 che regolava le interruzioni volontarie di gravidanza, l’obiezione di coscienza fu prevista anche per tutelare i medici che avevano intrapreso la professione quando ancora gli aborti erano vietati.
Inoltre, il diritto dei medici a rifiutare gli interventi ha comunque dei limiti: «L’articolo 9 della legge 194 stabilisce la possibilità di obiettare solo quando ci sono motivi di coscienza — spiega Marilisa D’Amico, professore di Diritto costituzionale all’Università
Il giurista
«Inserire nei decreti attuativi l’obiezione di coscienza? Li rende incostituzionali»