«Svegliato in auto dagli spari La mafia non mi fermerà»
Strada sbarrata dai sassi nel Messinese, poi gli spari. Illeso il presidente del Parco dei Nebrodi Conflitto a fuoco e assalitori in fuga, sul posto due molotov. La battaglia per i terreni espropriati
Si era ripreso migliaia di ettari del Parco dei Nebrodi fra Messina ed Enna, strappandoli a clan mafiosi che li ottenevano in concessione a prezzi stracciati con la connivenza di funzionari compiacenti. L’altra notte l’auto su cui viaggiavano il presidente Giuseppe Antoci e due agenti di scorta è finita sotto il fuoco delle lupare. Solo l’intervento della seconda auto di scorta ha messo in fuga il commando. Due anni fa l’avvertimento: «Finirai scannato tu e Crocetta».
L’auto su cui viaggia Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, con a bordo due agenti di scorta viene bloccata con dei sassi sulla strada. Gli agenti si rendono subito conto che è un agguato
Hanno preso a colpi di lupara un pezzo di vera antimafia, quella di cui non si parla mai, quella che assesta danni reali a Cosa nostra, mettendo le mani in tasca alle cosche. Come il presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci che s’è ripreso migliaia di ettari fra Messina ed Enna strappandoli a «famiglie» che li ottenevano in concessione con la complicità di funzionari corrotti o impauriti, pagandoli 30 euro, mentre valgono 3 mila a ettaro. Con un seguito di denunce alla magistratura e alla Comunità europea scandite martedì notte dalla lupara, nell’oscurità di una strada di montagna fra Cesarò e la costa tirrenica, a metà fra Palermo e Messina.
Questo l’agreste scenario di un agguato che sembra respingere la Sicilia indietro d’un secolo. I sassi per ostruire la strada. Una vettura costretta a bloccarsi. Le canne dei fucili che compaiono dalle siepi. I proiettili che forano gli sportelli dell’auto blindata, per miracolo senza ferire Antoci e i suoi due agenti di scorta. Rinchiusi per Alcuni uomini iniziano a sparare con fucili a pallettoni sulle fiancate dell’auto blindata. Vogliono spingere Antoci e gli uomini della scorta a uscire dalla vettura. Sul luogo verranno trovate anche delle molotov per le ceramiche, ha abbracciato la moglie Teresa e le sue tre figlie, terrorizzate dal 12 dicembre di due anni fa, quando arrivò la prima minaccia con lettera anonima: «Finirai scannato tu e Crocetta».
E Crocetta, il governatore, ieri mattina è stato il primo a correre da Antoci, rassicurandosi Diversi amministratori hanno revocato le concessioni: «4.200 ettari tolti alla mafia» che la protezione fosse estesa anche ad altri, come il giovane sindaco di Troina, Fabio Venezia, altro eroe poco noto alle cronache, nonostante l’interrogazione ad Alfano, a gennaio, del senatore Giuseppe Lumia che parlava delle famiglie mafiose di Barcellona, Enna e Messina. Le stesse al centro di una puntata di «Presa diretta» con le denunce di Riccardo Iacona. Ascoltate con sgomento da Patrizia Monterosso, il segretario generale della Regione che chiamò Crocetta: «La mafia s’è presa i nostri terreni demaniali». Di qui il colpo di acceleratore che Crocetta sintetizza Sopraggiunge un’altra auto con a bordo il commissario Daniele Manganaro e un agente. I due ingaggiano un conflitto a fuoco con i malviventi, che fuggono. Anche la scorta di Antoci inizia a sparare così: «Abbiamo revocato concessioni per 4.200 ettari. Li pagavano 126 mila euro e guadagnavano 12 milioni e 600 mila. Non solo ma chiedevano all’Europa contributi fino a 500 mila euro a famiglia per colture e allevamenti inesistenti. Con la complicità di veterinari e amministratori, compiacenti o impauriti. Adesso questa mafia arroccata nelle campagne, in sintonia con i colletti bianchi di Messina, va cercata casa per casa. Anche con l’Esercito. Lo Stato deve vincere la guerra».
Le battaglie