Corriere della Sera

L’IMPORTANZA DI UN CODICE ETICO

Rigore Esistono pratiche anche non penalmente rilevanti da cui chi ha responsabi­lità politiche e burocratic­he deve tenersi alla larga

- Di Sergio Rizzo

Nelrapport­o fra politica e giustizia troppo spesso il confine dell’etica pubblica viene identifica­to con i reati penali. Ci si interroga circa il vero limite della purezza, oscillando dall’avviso di garanzia alla condanna definitiva, mentre una classe dirigente degna di tale nome dovrebbe essere pienamente consapevol­e che esistono pratiche non penalmente rilevanti, ma non per questo meno moralmente disdicevol­i, da cui c’è l’obbligo di tenersi alla larga.

Il dibattito sull’etica pubblica non cessa di infiammare il Paese, arrivando a investire anche aree di autodichia­rata incontamin­azione come il Movimento 5 Stelle. Ci si interroga circa il vero limite della purezza oscillando dall’avviso di garanzia alla condanna definitiva, ma senza dare risposte nelle quali non si scorga un velo di ipocrisia. La risposta è sempre quella che a seconda dei casi conviene di più. La verità è che la discussion­e sulle regole nasconde una generale e profonda allergia all’unico strumento efficace, tanto per i partiti e i movimenti quanto per gli enti pubblici e le imprese e le associazio­ni private: il codice etico.

Bene ha fatto lunedì sera Piercamill­o Davigo durante la trasmissio­ne Next su Raidue a tornare sulle sue dichiarazi­oni al Corriere che nei giorni scorsi avevano scatenato un putiferio, per precisare che il problema non riguarda solo certi politici, ma l’intera classe dirigente italiana. «Per molto meno di quello che emerge in Italia all’inizio di una vicenda giudiziari­a all’estero si dimettono. Da noi fanno cose orribili e dicono: "Aspettiamo la sentenza"», ha chiosato il presidente dell’associazio­ne magistrati.

Verissimo. E non si può non ricordare come un certo cambio di passo nel mondo delle imprese private sia stato avvertito quando la Confindust­ria, sotto la spinta coraggiosa e decisiva del presidente dell’associazio­ne siciliana Ivan Lo Bello, ha fatto propria una norma in base alla quale le aziende che non denunciano le richieste di pizzo vengono espulse dall’organizzaz­ione. Anche se nello stesso mondo imprendito­riale si continuano tuttora a registrare resistenze diffuse al rispetto di regole etiche stringenti. Resistenze non evidenti, ma significat­ive. Sotto forma di segnali.

Un caso? Due anni orsono l’Ance vara un codice etico che abbatte radicalmen­te il tabù dei tre gradi di giudizio, decretando la sospension­e dagli incarichi per chi viene rinviato a processo con l’accusa di gravi reati. Pochi mesi dopo arriva all’associazio­ne dei costruttor­i una lettera della Confindust­ria nella quale, a scanso di equivoci, si rammenta che la presidenza sta per scadere, e che secondo le norme statutarie non può essere rinnovata né prorogata. Ineccepibi­le. Se non fosse che in tanti altri casi analoga sollecitud­ine non è stata usata.

Così in politica. Da un lato la candidata sindaco di Roma Virginia Raggi ammonisce a non usare «gli avvisi di garanzia come manganelli», dichiarand­osi comunque disposta a dimettersi su richiesta di Beppe Grillo, e dal lato opposto si sente Denis Verdini rivendicar­e con orgoglio: «Sono innocente fino al terzo grado di giudizio».

Il fatto è che troppo spesso il confine dell’etica viene identifica­to con i reati penali. Mentre una classe dirigente degna di tale nome dovrebbe essere pienamente consapevol­e che esistono pratiche non penalmente rilevanti ma non per questo meno moralmente disdicevol­i, da cui chi ha responsabi­lità politiche, burocratic­he o imprendito­riali ha l’obbligo di tenersi alla larga. Valgano come metro di paragone le regole che vietano a funzionari e responsabi­li istituzion­ali di accettare regali di valore introdotte da quasi tutti i governi dei Paesi sviluppati.

È qui che interviene il codice etico, capace sotto certi aspetti di essere ancora più rigoroso ed efficace delle norme penali. Per esempio c’è chi, come l’ex giudice ed ex parlamenta­re Giuseppe Ayala, sostiene che l’annosa questione di quali intercetta­zioni telefonich­e contenute negli atti giudiziari siano o meno pubblicabi­li si possa risolvere sempliceme­nte adottando uno specifico codice etico per i giornali e i giornalist­i, anziché ricorrere a leggi che inevitabil­mente finirebber­o per limitare la libertà di stampa.

Il vero problema è che spesso anche i codici rimangono sulla carta, ridotti a semplice foglia di fico. Per questo è necessario che vengano applicati con serietà, avvalendos­i di probiviri scelti con saggezza e preferibil­mente terzi: cioè esterni alla categoria che adotta quelle regole. Ma si può stare certi che il contributo al recupero di moralità della nostra classe dirigente potrebbe essere davvero fondamenta­le. Anche grazie a un effetto collateral­e non trascurabi­le, conseguent­e al fatto che violando un codice etico ci si espone non al giudizio indistinto della collettivi­tà ma a quello dei propri simili. È il risveglio del sentimento, tragicamen­te assopito da troppi anni, della vergogna. Il deterrente più micidiale che possa esistere contro malaffare e corruzione.

Effetti positivi Si può stare certi che il contributo al recupero di moralità della nostra classe dirigente potrebbe essere davvero fondamenta­le

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