Il viaggio della lettera di Colombo finita tra i libri del Congresso Usa
Sparita da Firenze, poi donata da un collezionista a Washington. Ora è tornata
Le traversie del viaggio verso quelle che credeva le Indie, gli scontri con la ciurma, la tristezza per aver perso una caravella. Il riassunto del diario di bordo che il comandante Cristoforo Colombo voleva far arrivare al più presto al re di Spagna Ferdinando D’Aragona e alla regina Isabella di Castiglia. Il 4 marzo 1493 il navigatore genovese consegnò quella che oggi si chiamerebbe un’informativa — l’Epistula de insulis Indie nuper inventis —a un emissario che da Restelo, vicino a Lisbona, doveva portarla ai reali spagnoli. Un documento storico, originale, del quale si sono perse le tracce da più di 500 anni ma che è stato riprodotto in 16-18 copie autentiche, tradotte dallo spagnolo in latino sempre in quell’anno dal religioso tedesco Stephen Plannck e custodite in importanti biblioteche. Almeno così si pensava alla Riccardiana di Firenze e alla Nazionale di Roma, dove invece si è scoperto che erano state sostituite da falsi.
La prima forse fin dagli anni Cinquanta addirittura, quando la miscellanea di 42 incunaboli, fra cui la Lettera di Colombo, fu inviata a Roma dal 28 luglio al 5 aprile dell’anno successivo. Dopo più di mezzo secolo la preziosa copia dell’Epistula è stata ritrovata in uno dei luoghi più sicuri del mondo: la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti a Washington. Un colpo a sorpresa. Ora bisogna ritrovare la seconda copia, quella romana, ma si tratta comunque della conclusione della prima parte di un’indagine complessa alla quale hanno partecipato i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale e i segugi americani dell’Homeland security investigation di Wilmington.
L’inchiesta — coordinata dal pm Tiziana Cugini della procura di Roma — è solo all’inizio ma l’Epistula fiorentina è stata riconsegnata ufficialmente ieri dagli Usa con una cerimonia all’Angelica di Roma con il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini e l’ambasciatore statunitense John R. Phillips, e tornerà presto alla Riccardiana.
Ricostruire il suo viaggio fino agli Stati Uniti non è stato semplice: probabile che facesse parte di un’eredità venduta all’asta da Christie’s proveniente da un privato in Svizzera nel 1990 per 400 mila dollari, meno della metà del suo valore stimato in un milione di euro. Quindi due anni più tardi la donazione al Congresso. Vent’anni dopo, nel 2012, una denuncia della Biblioteca nazionale di Roma per un furto di preziosi libri antichi ha fatto partire le indagini dei carabinieri: agli investigatori è apparso subito chiaro che al posto della copia originale della Lettera c’era un falso. E anche grossolano, diverso nel formato dei fogli, nella rilegatura, nella stampa fatta con una fotocopiatrice e le correzioni a penna. A quel punto è scattato l’allarme per tutte le altre copie e si è scoperto che anche a Firenze ce n’era una falsa. Che fosse in America lo si è capito dall’inizio. Gli investigatori dell’Arma hanno ripercorso analoghi episodi di sostituzione di libri — compresi quelli che hanno portato alla condanna di Massimo De Caro, ex direttore della Biblioteca dei Girolamini a Napoli — fino a imboccare la pista giusta.