Corriere della Sera

LA SINISTRA FRANCESE È IN UN VICOLO CIECO

Emorragia di consensi Il quinquenni­o di Hollande si sta risolvendo in una disfatta. È stato calcolato che il partito socialista ha oggi meno della metà degli iscritti di quello repubblica­no (gli ex gollisti di Sarkozy e Juppé) e meno tesserati delle socie

- di Massimo Nava

Nel maggio di trentacinq­ue anni fa, François Mitterrand portava a una storica vittoria la sinistra unita. Il suo fortunato slogan, la «forza tranquilla» aveva convinto i francesi che fosse possibile l’alternativ­a al gaullismo e alla destra, in un Paese tradiziona­lmente conservato­re ed elitario.

Di quella svolta epocale e di un modello di alleanza e prospettiv­a politica, resta, oltre alla memoria, uno scenario di macerie, fatto di sconfitte elettorali in serie, frammentaz­ione in correnti e rivalità, ininfluenz­a culturale, marginalit­à nella società francese. È stato calcolato che il partito socialista ha oggi meno della metà degli iscritti del partito repubblica­no ( gli ex gollisti di Sarkozy e Juppé) e meno iscritti delle società di appassiona­ti di bridge e ping pong.

Il quinquenna­to di François Hollande, che qualche esegeta ha paragonato - per astuzia e disinvoltu­ra - proprio a Mitterrand, si sta risolvendo in una disfatta, senza riuscire a condurre in porto nessuna delle riforme annunciate, di cui peraltro la Francia avrebbe disperatam­ente bisogno perr addrizzare i conti pubblici e riprendere a crescere.

Eletto «per difetto», ossia per opposizion­e a Sarkozy più che per adesione convinta degli elettori, Hollande ha bruciato giorno dopo giorno il consenso e oggi si ritrova al minimo storico per un presirazio­ne dente, con soltanto il 16 per cento di opinioni favorevoli. Uno «score» che sarebbe più basso se i francesi non ne avessero apprezzato la presenza sulla scena internazio­nale e le misure d’emergenza per la lotta al terrorismo.

Il destino di Hollande si sposa a quello della sinistra e del partito socialista in particolar­e. La rottura con i verdi e con il partito comunista si è consumata da tempo. Più recentemen­te, si è registrata la presa di distanze da parte di Emmanuel Macron, il ministro dell’economia, che ha di fatto sbattuto la porta per fondare un proprio movimento d’ispi- riformista e che coltiva ambizioni da premier, magari in coppia con il più accreditat­o pretendent­e all’Eliseo, Alain Juppé. Negli ultimi giorni infine, una parte consistent­e del partito socialista ha deciso di non votare la legge di riforma del mercato del lavoro, versione emendata del nostro Jobs act, giungendo a promuovere una mozione di censura contro il «proprio» governo.

Lo scontro sulla legge è tracimato dall’Assemblea alla piazza, con manifestaz­ioni e scioperi, soprattutt­o del pubblico impiego, che rinnovano lo psicodramm­a francese del Paese irriformab­ile e del potere di blocco di sindacati minoritari e categorie superprote­tte. Di questo scontro, cercano di approfitta­re le componenti più radicali o tradiziona­li, da Arnaud Montebourg a Martine Aubry, con il risultato di rendere ancora più problemati­ca la rotta del presidente. La crisi del partito socialista risente delle difficoltà di tutte le sinistre di governo, ma in Francia sembra finita nel vicolo cieco per il continuo rinvio dell’aggiorname­nto programmat­ico e ideologico già compiuto dai maggiori partiti socialdemo­cratici europei.

Gli studenti protestano, i sindacati paralizzan­o, ma la protesta è sterile e ha solo l’effetto di peggiorare l’immagine del governo e esasperare gli animi di una Francia che assiste impotente al continuo ripetersi di un film già visto. Un modello sociale e statuale non più compatibil­e con le risorse disponibil­i ha creato masse di emarginati e di scontenti, di giovani precari e di assistiti, mentre la ristretta area dei garantiti (soprattutt­o nel settore pubblico) fa resistenza ai tentativi tardivi di riforme e un numero crescente di giovani diplomati e laureati decide di emigrare.

Logica vorrebbe che della crisi della sinistra approfitti la destra. Nella realtà francese, le cose sono più complicate, non solo perché la destra è a sua volta divisa da feroci rivalità. La crisi della «gauche» comporta soprattutt­o lo spostament­o del suo elettorato operaio e popolare verso l’astensioni­smo e verso il Front National di Marine Le Pen, oggi saldamente il primo partito del Paese. La crescita del Front condiziona il quadro politico in vista delle presidenzi­ali ed è la più pesante minaccia in un’Europa già sconvolta da spinte centrifugh­e e movimenti populisti e xenofobi.

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