DESTINI INCROCIATI
DAGLI ELEGANTI ANGELI DEL ‘400 AI BOTTONI FIRMATI GIACOMETTI LE NOZZE MISTICHE DI ARTE E MODA
Dall’Ottocento a oggi I lini dei Macchiaioli e le tute di Thayaht messi a confronto con i guizzi di Warhol e Schiaparelli
L’appuntamento Una mostra del Museo Ferragamo di Firenze, che si estende ad altre sedi, riapre un capitolo che ha segnato l’identità italiana: il dialogo fertile tra pittori e tintori, creativi e artigiani. È l’insegnamento del maestro delle scarpe
Convento di San Marco, nei pressi dell’Accademia: l’angelo annunciante dell’Armadio degli Argenti ( pannellicapolavoro dipinti dal Beato Angelico a metà ‘400) spicca con un paio d’ali multicolore, blu acceso, rosso fuoco, giallo paglia. Galleria degli Uffizi, sala 25: stavolta è la vergine «annunciata» di Baldovinetti che, quasi a proteggersi da un destino ineluttabile, ritrae la tunica con un gesto aggraziato della mano, un’eleganza da modella. Lì vicino, nei quadri di Luca Signorelli, c’è una sciarpa colorata che torna come un refrain nelle Crocifissioni (attorno al bacino di Cristo) e al collo delle madonne.
Non era un vezzo: pittori e tintori condividevano colori, segreti e qualche volta la strada. Rosso Fiorentino (14951540) visse per un periodo proprio nel Borgo dei Tintori, la via del centro dove stavano gli artigiani delle sfumature. Ecco perché a Firenze arte e moda hanno sempre condiviso non solo lo spirito creativo o l’estro, ma anche un linguaggio più profondo, colto, naturale. E la mostra Tra arte e moda, organizzata dalla Fondazione Ferragamo e dal Museo Salvatore Ferragamo, si snoda su due direttrici: la sorpresa e la naturalezza. «Oltre che su una rete pionieristica tra istituzioni della quale siamo fieri», dice Stefania Ricci, direttrice del museo intitolato al maestro della calzatura e anima del progetto che, da domani, unisce Palazzo Spini Feroni (sede del museo), la Biblioteca Nazionale Centrale, la Galleria d’arte moderna e la Galleria del Costume di Palazzo Pitti, il Museo «Marino Marini» e il Museo del Tessuto a Prato.
Il resto è racconto diffuso, corposo e si direbbe «infinito» nel suo rifiuto di un filo conduttore. Si affida a case history, per dare spunti di riflessione sul matrimonio tra arte e moda, sin dall’Ottocento, «quando — spiega Enrica Morini, curatrice della parte storica — la moda divenne linguaggio della borghesia e si allargò ad altri strati sociali». Trasformandosi, a volte, in un alfabeto emozionale: i Macchiaioli tratteggiavano i caratteri dei personaggi con l’abbigliamento e, alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti (dove si accostano quadri a vestiti), La passeggiata in giardino di Silvestro Lega rimanda a una veste da giardino tardo ottocentesca, in pesante tela di lino con guarnizioni in lana. Una ragazza pragmatica e elegante: ecco la sorpresa, l’assonanza inattesa.
«Ma la moda è anche sperimentazione, come l’arte: qualche volta un abito va a deformare un corpo e non ad assecondarlo. Questo perché mira a superarlo e a creare una visione diversa del reale», dice Maria Luisa Frisa, un’altra delle curatrici. Come la tuta rigida e informe che l’artista Thayaht ispirò a Madeleine Vionnet: era il 1918 e le donne scoprivano indipendenza, abiti comodi, a volte eccentrici (in mostra a Palazzo Spini Feroni). Si superavano, appunto, ma con naturalezza: un po’ come quando Elsa Schiaparelli disegnava abiti
con le aragoste surrealiste di Salvador Dalí: sembra un normale vestito bianco con il rosso animale, ma in realtà (era il 1937) fu una straordinaria operazione di marketing, imperniata sul personaggio eccentrico (l’artista catalano) e sulla stilista in auge, pratica che avrebbe anticipato il linguaggio di Warhol, altro protagonista della mostra. E quando Alberto Giacometti scolpì uno dei bottoni che ornano il tailleur di lana bouclé di Schiaparelli acquistato da Marlene Dietrich, era consapevole di lavorare non a un bottone ma a una scultura.
«Mio padre si faceva contaminare dagli artisti e scelse Firenze per questo saper raccontare il bello» afferma Leonardo Ferragamo mentre ci avviamo verso la sezione dedicata al «calzolaio prodigioso», con le scarpe alte, a zeppa, aperte e chiuse, una scenografia surrealista. Spicca un modello con un tessuto fantasioso e, accanto, un cartellino racconta che quel particolare tipo di decorazione venne affidata da Ferragamo ad un’artigiana del Fiorentino. «Un lavoro eccellente», le scrisse in un biglietto il maestro.
E con queste parole è lo stesso Salvatore a chiudere il cerchio che unisce arte e moda: fatto di dialogo, scambio, dove il creativo e l’artigiano si parlano. «È chiacchiera», come rispondeva Vico Magistretti a chi gli chiedeva una definizione di design. Naturalezza e sorpresa. Anche qui.