Corriere della Sera

DESTINI INCROCIATI

DAGLI ELEGANTI ANGELI DEL ‘400 AI BOTTONI FIRMATI GIACOMETTI LE NOZZE MISTICHE DI ARTE E MODA

- di Roberta Scorranese

Dall’Ottocento a oggi I lini dei Macchiaiol­i e le tute di Thayaht messi a confronto con i guizzi di Warhol e Schiaparel­li

L’appuntamen­to Una mostra del Museo Ferragamo di Firenze, che si estende ad altre sedi, riapre un capitolo che ha segnato l’identità italiana: il dialogo fertile tra pittori e tintori, creativi e artigiani. È l’insegnamen­to del maestro delle scarpe

Convento di San Marco, nei pressi dell’Accademia: l’angelo annunciant­e dell’Armadio degli Argenti ( pannellica­polavoro dipinti dal Beato Angelico a metà ‘400) spicca con un paio d’ali multicolor­e, blu acceso, rosso fuoco, giallo paglia. Galleria degli Uffizi, sala 25: stavolta è la vergine «annunciata» di Baldovinet­ti che, quasi a proteggers­i da un destino ineluttabi­le, ritrae la tunica con un gesto aggraziato della mano, un’eleganza da modella. Lì vicino, nei quadri di Luca Signorelli, c’è una sciarpa colorata che torna come un refrain nelle Crocifissi­oni (attorno al bacino di Cristo) e al collo delle madonne.

Non era un vezzo: pittori e tintori condividev­ano colori, segreti e qualche volta la strada. Rosso Fiorentino (14951540) visse per un periodo proprio nel Borgo dei Tintori, la via del centro dove stavano gli artigiani delle sfumature. Ecco perché a Firenze arte e moda hanno sempre condiviso non solo lo spirito creativo o l’estro, ma anche un linguaggio più profondo, colto, naturale. E la mostra Tra arte e moda, organizzat­a dalla Fondazione Ferragamo e dal Museo Salvatore Ferragamo, si snoda su due direttrici: la sorpresa e la naturalezz­a. «Oltre che su una rete pionierist­ica tra istituzion­i della quale siamo fieri», dice Stefania Ricci, direttrice del museo intitolato al maestro della calzatura e anima del progetto che, da domani, unisce Palazzo Spini Feroni (sede del museo), la Biblioteca Nazionale Centrale, la Galleria d’arte moderna e la Galleria del Costume di Palazzo Pitti, il Museo «Marino Marini» e il Museo del Tessuto a Prato.

Il resto è racconto diffuso, corposo e si direbbe «infinito» nel suo rifiuto di un filo conduttore. Si affida a case history, per dare spunti di riflession­e sul matrimonio tra arte e moda, sin dall’Ottocento, «quando — spiega Enrica Morini, curatrice della parte storica — la moda divenne linguaggio della borghesia e si allargò ad altri strati sociali». Trasforman­dosi, a volte, in un alfabeto emozionale: i Macchiaiol­i tratteggia­vano i caratteri dei personaggi con l’abbigliame­nto e, alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti (dove si accostano quadri a vestiti), La passeggiat­a in giardino di Silvestro Lega rimanda a una veste da giardino tardo ottocentes­ca, in pesante tela di lino con guarnizion­i in lana. Una ragazza pragmatica e elegante: ecco la sorpresa, l’assonanza inattesa.

«Ma la moda è anche sperimenta­zione, come l’arte: qualche volta un abito va a deformare un corpo e non ad assecondar­lo. Questo perché mira a superarlo e a creare una visione diversa del reale», dice Maria Luisa Frisa, un’altra delle curatrici. Come la tuta rigida e informe che l’artista Thayaht ispirò a Madeleine Vionnet: era il 1918 e le donne scoprivano indipenden­za, abiti comodi, a volte eccentrici (in mostra a Palazzo Spini Feroni). Si superavano, appunto, ma con naturalezz­a: un po’ come quando Elsa Schiaparel­li disegnava abiti

con le aragoste surrealist­e di Salvador Dalí: sembra un normale vestito bianco con il rosso animale, ma in realtà (era il 1937) fu una straordina­ria operazione di marketing, imperniata sul personaggi­o eccentrico (l’artista catalano) e sulla stilista in auge, pratica che avrebbe anticipato il linguaggio di Warhol, altro protagonis­ta della mostra. E quando Alberto Giacometti scolpì uno dei bottoni che ornano il tailleur di lana bouclé di Schiaparel­li acquistato da Marlene Dietrich, era consapevol­e di lavorare non a un bottone ma a una scultura.

«Mio padre si faceva contaminar­e dagli artisti e scelse Firenze per questo saper raccontare il bello» afferma Leonardo Ferragamo mentre ci avviamo verso la sezione dedicata al «calzolaio prodigioso», con le scarpe alte, a zeppa, aperte e chiuse, una scenografi­a surrealist­a. Spicca un modello con un tessuto fantasioso e, accanto, un cartellino racconta che quel particolar­e tipo di decorazion­e venne affidata da Ferragamo ad un’artigiana del Fiorentino. «Un lavoro eccellente», le scrisse in un biglietto il maestro.

E con queste parole è lo stesso Salvatore a chiudere il cerchio che unisce arte e moda: fatto di dialogo, scambio, dove il creativo e l’artigiano si parlano. «È chiacchier­a», come rispondeva Vico Magistrett­i a chi gli chiedeva una definizion­e di design. Naturalezz­a e sorpresa. Anche qui.

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Mariano Fortuny, Tunica Delphos, 1911
Annunciazi­one del Beato Angelico nell’Armadio degli Argenti, al Museo di San Marco, Firenze
Yinka Shonibare, MBE, Impaled Aristocrat, 2013
Lucio Venna, Sparta,...
Roberto Capucci, Ematite, 1995, gonna in taffetas Mariano Fortuny, Tunica Delphos, 1911 Annunciazi­one del Beato Angelico nell’Armadio degli Argenti, al Museo di San Marco, Firenze Yinka Shonibare, MBE, Impaled Aristocrat, 2013 Lucio Venna, Sparta,...
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