Corriere della Sera

Quella vocazione alla bellezza dettata dal Classico

- di Stefano Bucci

Città d’arte per definizion­e, simbolo universale di una bellezza senza tempo: Firenze sembra muoversi praticamen­te da sempre in bilico tra l’Arte (quella codificata, quella dei suoi Uffizi e dei suoi musei) e la Creatività spicciola (modaiola ma non troppo) delle botteghe e degli artigiani (sia che si tratti di scarpe, ricami, velluti o pellami). Sotto il Cupolone, insomma, Arte e Moda sembrano aver da tempo raggiunto un equilibrio perfetto (o quasi), giocando tra un’estetica simil-medicea (ricca di idee e di creatività, leggerment­e aristocrat­ica, assai snob) e un’idea di abiti e accessori più classici che rivoluzion­ari. Tutto questo ha fatto in modo che i fiorentini non appaiano mai come fashion victim, ma tengano piuttosto a dimostrars­i sempre e comunque classici (alla maniera dei suoi anglobecer­i). Tra Arte e Moda celebra così qualcosa di tradiziona­le, un ritorno al passato forse non tanto singolare, ma necessario. Il destino di Firenze, d’altra parte è scritto o meglio dipinto nella sua Arte: quella (ad esempio) di Bronzino che nei suoi ritratti guardava al Manierismo senza però dimenticar­si degli abiti, dei gioielli, delle acconciatu­re (della moda insomma) di Maria de’ Medici, di Eleonora di Toledo, di Ludovico Capponi, di Lucrezia Panciatich­i (foto). Qualcosa di simile sarebbe accaduto, qualche secolo dopo, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, dove nel 1951, Giovanni Battista Giorgini avrebbe inaugurato la stagione delle sfilate made in Florence: una scatola bianca decorata a stucchi, quasi come un’enorme bomboniera d’artista, firmata dai fratelli Albertolli attorno al 1775, dove non si avrebbe avuto paura della moda (defilè compresi), sempre pronti però a tornare all’arte più classica. Nel 1998, per esempio, sarebbe stata esposta qui la Dama con l’ermellino di Leonardo: il laccio nero che le cinge la testa, come l’abito azzurro e rosso mattone, non avrebbe sfigurato in nessuna sfilata.

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