Quella vocazione alla bellezza dettata dal Classico
Città d’arte per definizione, simbolo universale di una bellezza senza tempo: Firenze sembra muoversi praticamente da sempre in bilico tra l’Arte (quella codificata, quella dei suoi Uffizi e dei suoi musei) e la Creatività spicciola (modaiola ma non troppo) delle botteghe e degli artigiani (sia che si tratti di scarpe, ricami, velluti o pellami). Sotto il Cupolone, insomma, Arte e Moda sembrano aver da tempo raggiunto un equilibrio perfetto (o quasi), giocando tra un’estetica simil-medicea (ricca di idee e di creatività, leggermente aristocratica, assai snob) e un’idea di abiti e accessori più classici che rivoluzionari. Tutto questo ha fatto in modo che i fiorentini non appaiano mai come fashion victim, ma tengano piuttosto a dimostrarsi sempre e comunque classici (alla maniera dei suoi anglobeceri). Tra Arte e Moda celebra così qualcosa di tradizionale, un ritorno al passato forse non tanto singolare, ma necessario. Il destino di Firenze, d’altra parte è scritto o meglio dipinto nella sua Arte: quella (ad esempio) di Bronzino che nei suoi ritratti guardava al Manierismo senza però dimenticarsi degli abiti, dei gioielli, delle acconciature (della moda insomma) di Maria de’ Medici, di Eleonora di Toledo, di Ludovico Capponi, di Lucrezia Panciatichi (foto). Qualcosa di simile sarebbe accaduto, qualche secolo dopo, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, dove nel 1951, Giovanni Battista Giorgini avrebbe inaugurato la stagione delle sfilate made in Florence: una scatola bianca decorata a stucchi, quasi come un’enorme bomboniera d’artista, firmata dai fratelli Albertolli attorno al 1775, dove non si avrebbe avuto paura della moda (defilè compresi), sempre pronti però a tornare all’arte più classica. Nel 1998, per esempio, sarebbe stata esposta qui la Dama con l’ermellino di Leonardo: il laccio nero che le cinge la testa, come l’abito azzurro e rosso mattone, non avrebbe sfigurato in nessuna sfilata.