INTERVENTI E REPLICHE
Il senso dell’ «alternanza scuola-lavoro»
Prendo spunto dalle riflessioni di Luigi Vavalà, «Conoscenza o tecnologia?» ( Corriere, 17 maggio) per esprimere alcune mie considerazioni, da insegnante di Lettere, sul progetto denominato «Alternanza scuola-lavoro», da quest’anno obbligatorio, a partire dalla classe terza, in tutte le scuole superiori. Non si tratta di un progetto innovativo, perché da tempo gli istituti tecnici e professionali attuano forme di stages, ma la novità, a partire da quest’anno, è l’estensione di questa iniziativa a tutti gli studenti di tutti i trienni delle superiori, compresi i licei. Questo si traduce nella possibilità concreta di far svolgere l’alternanza scuola-lavoro il mattino, durante il normale orario scolastico, con l’inevitabile interruzione dell’attività didattica curricolare. Io non sono pregiudizialmente contraria agli stages, ma sono convinta che questa esperienza possa e debba restare complementare all’attività didattica curricolare e non sostitutiva o alternativa alle ore curricolari del mattino. Io credo che la scuola debba restare un’istituzione che dà gli strumenti culturali e la flessibilità mentale, necessari per affrontare anche, ma non solo, le difficoltà di un modo del lavoro sempre più complesso. Diminuire il tempo scuola è una scelta che può compromettere il raggiungimento di quelle conoscenze e competenze indispensabili per orientarsi nella realtà attuale, e a farne le conseguenze saranno soprattutto gli studenti più deboli e più svantaggiati sotto il profilo culturale. In altri termini, gli stages dovrebbero essere ammessi solo nei periodi di sospensione dell’attività didattica e non estesi indiscriminatamente a tutti gli studenti, ma solo a quelli realmente motivati. In questo modo, a mio avviso, si darebbe maggior valore a un’esperienza, che diventerebbe una «opportunità» in più offerta dalla scuola e non un «rito» di cui si fa fatica a cogliere il senso. Gemma Prontera, Sassari
Test, disuguaglianze e scelte
A proposito della lettera di Alessandro Figà Talamanca ( Corriere di ieri), io credo che le prove Invalsi siano come un termometro. Le persone che avranno voglia e tempo potranno trovare i risultati e sapere quali sono le scuole migliori e usarli per cercare di prendere decisioni avvedute, nei limiti delle possibilità. Conoscere per deliberare, diceva qualcuno. Le disuguaglianze ci sono già, non capisco come avere maggiori informazioni possa incrementarle. Chi ha un reddito e un livello di istruzioni superiore probabilmente già si informa sulla qualità delle scuole.
Roberto Niger, rob.niger@gmail.com