Corriere della Sera

SPETTATORI DELL’EUROPA IN FRANTUMI

- Di Antonio Polito

Come tifosi di calcio, dopo una festosa «ola» di ringraziam­ento per la vittoria ai rigori in Austria, i signori Merkel, Hollande e Renzi torneranno tra qualche settimana a sedersi sugli spalti per assistere al derby di Londra, sì o no all’Europa in una partita secca, sperando che Iddio gliela mandi buona.

Il problema è che in campo dovrebbero esserci loro. L’alternativ­a alle secessioni europee, quella dell’Est, quella nordica, quella anglosasso­ne, dovrebbero essere loro, i governi dell’Europa Carolingia, del nocciolo duro, dei Sei Paesi fondatori. In Gran Bretagna, come in Austria l’altro giorno, si dovrebbe votare per scegliere tra un progetto di integrazio­ne e la voglia del passo indietro, mentre invece l’unico modello in campo è lo status quo. Un pessimo status quo, di fronte al quale anche uscire può apparire più convenient­e che restare.

Non sono pochi, nei circoli colti delle capitali europee, nelle burocrazie di Bruxelles, a sperare segretamen­te che vinca la Brexit. L’idea è: così si chiarisce l’equivoco, l’Europa sarà più piccola ma più compatta, chi ci sta può ricomincia­re a correre senza dover aspettare i ritardatar­i. È una pia illusione. Questo mitico nucleo dei Sei fondatori, che dovrebbe riprendere il cammino cominciato a Roma nel 1957, non è più un nucleo, è diviso su tutto, come ha notato su Le Monde Arnaud Leparmenti­er. Per esempio sulla garanzia dei depositi bancari, che Francia e Italia vogliono e la Germania no.

Lo stesso accade sugli immigrati, con Italia e Germania che vorrebbero modificare il Trattato di Dublino per non prendersel­i tutti e la Francia che vuole lasciarlo così com’è per non prendersen­e nessuno; o sul rigore di bilancio, eluso da Francia e Italia ma praticato e predicato dai tedeschi; o sull’armonizzaz­ione del fisco delle imprese, che Francia e Germania dicono di volere ma il Benelux contrasta per attirare le multinazio­nali.

Inglesi, ungheresi, polacchi, austriaci, saranno pure egoisti e cattivi, ma la crisi dell’Europa è cominciata con il no francese e olandese nei referendum del 2005, e i movimenti xenofobi sono nati in Francia, Danimarca e Olanda prima ancora dell’allargamen­to a Est.

C’è poco da fare: l’origine della crisi europea è lì, nel cuore del Vecchio Continente, più o meno tra le due cittadine di Maastricht e Schengen. Era lì, nell’officina franco-tedesca, riscaldata dall’europeismo italiano, che nascevano i modelli che tutto il continente ha voluto imitare, dando vita all’incredibil­e storia di successo dell’Europa unita, passata da Sei a Ventotto in mezzo secolo. È lì che oggi sta perendo «l’Unione sempre più stretta tra i popoli europei» promessa dai Trattati. E se a Londra vincerà il Bremain, la scelta cioè di restare, le cose non saranno affatto più facili, visto che avrà vinto un’idea di Europa opposta, che si ritaglia un gigantesco opt-out, sostituend­o al progetto di integrazio­ne politica una zona di libero scambio priva di responsabi­lità comuni, a partire dagli immigrati. Sarà in ogni caso, che gli inglesi escano o che restino alle loro condizioni, una tentazione irresistib­ile per i Paesi nordici, per i Paesi ex comunisti, e forse perfino per la Francia (già si parla di Frexit). Sarebbe comunque la dissoluzio­ne.

Invece di vagheggiar­e quindi nuove mirabolant­i architettu­re istituzion­ali, nuove figure di presidenti eletti e super ministri comuni, i signori Merkel, Hollande e Renzi farebbero bene a trovare un accordo anche su uno solo dei problemi che angosciano la loro gente (welfare, disoccupaz­ione, migranti, sicurezza), e ad annunciare una cooperazio­ne rafforzata, qui sì andando avanti con chi ci sta. Dimostrand­o insomma che esiste ancora una convenienz­a per questa Europa. Non hanno molto tempo. A marzo dell’anno prossimo ricorrono i 60 anni dai Trattati di Roma, e una celebrazio­ne vuota sarebbe peggio di nessuna celebrazio­ne. Nei mesi successivi votano i francesi, i tedeschi, e forse gli italiani. Qualcuno dei tre tifosi allo stadio di cui sopra potrebbe essere accompagna­to all’uscita, prima ancora che la partita sia finita. Tutti e tre potrebbero perderla proprio per non averla voluta giocare.

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